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CIMITERO MEDITERRANEO
Lampedusa: 250 morti, anche donne e bambini ma Berlusconi scherza sul Bunga bunga di Enrico Fierro
C’è l’insopportabile cinismo di Berlusconi che nel giorno della tragedia promette di passare il prossimo weekend a Lampedusa e scherza, gigioneggia, si lascia andare a battute buone per l’eterno, pessimo avanspettacolo cui ha ridotto anche la tragedia infinita dell’immigrazione. “Ho registrato il marchio Bunga-bunga, lo userò in tutte le regioni”, dice davanti ai “governatori” riuniti per discutere dell’emergenza profughi dalla coste del Nordafrica. E c’è il dolore misto alla gioia di chi, tra quei 250 corpi inghiottiti da onde alte tre metri, pensava di aver perso tutto e con una telefonata ritrova un filo di speranza. E la disperazione degli elicotteristi della Guardia di Finanza che impotenti vedono galleggiare tra le onde del Canale di Sicilia decine di corpi. “Piccoli, erano corpi di bambini. Dall’alto sembrano dei bambolotti sballottati dalle onde”, ci racconta chi dal cielo   sta pattugliando il mare alla ricerca di altri superstiti oltre i 51 già portati sulla terraferma. Peter Hugoi è un ragazzo eritreo di 24 anni, è nel piccolo Poliambulatorio di Lampedusa avvolto in una coperta termica. Ha visto la morte in faccia. Le acque gelide del Mediterraneo gli hanno paralizzato muscoli e volontà. Ha bevuto un the caldo, si è riscaldato col tepore flebile di una stufetta elettrica e ha ripreso un po’ di forze.
LE USA per raccontare la sua tragedia: “Ho perso tutto, le onde erano altissime, soffiava un vento forte, ho visto sparire la mia fidanzata”. Gli occhi si abbassano, un nodo in gola spezza le parole di Peter. Medici, soccorritori e giornalisti ammutoliscono. Un silenzio di compassione che, come per miracolo, viene rotto dallo squillo di un cellulare. È la ragazza, la giovane fidanzata di Peter. L’hanno salvata, è viva ed è a Lampedusa, alla base Loran. Si riabbracceranno presto. È solo una delle pochissime storie a lieto fine dell’ultima   tragedia nel Canale di Sicilia.
Il naufragio del barcone partito dal porto libico di Zuwarah con a bordo tra i 250 e i 370 profughi. Eritrei, somali, nigeriani, sudanesi, lavoratori-schiavi nelle città libiche, e forse prigionieri nelle galere o nei centri di detenzione per clandestini di Gheddafi. Erano partiti sei giorni fa, riferiscono alcuni testimoni (altri parlano di una traversata durata solo tre giorni), a bordo di una barcone da pesca.Quattrocentodollariilprezzo del viaggio della speranza che doveva portarli via per sempre dalla guerra e dal regime. Stipati in 250, o forse più (sul numero le testimonianze dei sopravvissuti sono vaghe) su un legno che in genere trasporta poche decine di persone. Forse senza un “comandante”, o scafista, perché la metodologia adottata dalle organizzazioni di trafficanti di uomini non lo prevede più. Troppo rischioso, meglio affidarsi a un gps che fissi la rotta in direzione del faro di Lampedusa. “Tecnicamente si può fare – dice Antonio Morana, comandante   della Capitaneria di Porto dell’isola – ma basta un mare grosso come quello di queste ore e tutto finisce in tragedia”.
L’ALLARME è arrivato all’alba, lanciato dalle autorità militari di Malta alla Capitaneria di Porto di Lampedusa. La barca è a 39 miglia dall’isola, ancora in acque territoriali maltesi. Secondo la ricostruzione di una nostra fonte, le autorità di Valletta forniscono una descrizione “non allarmante” della situazione.Ilbarconedeiprofughi imbarca acqua ma il motore funziona, questo vuol dire che le pompe per espellere l’acqua funzionano. Il mare nelle acque di Lampedusa è forza 4, sul punto dove si trova il barcone la forza è 5-6, con onde alte fino a 3 metri e un vento che soffia a 29 nodi. I mezzi della Capitaneria partono subito da Lampedusa. La situazione è grave, vengono allertati e trasferiti sul posto anche la nave “Flaminia” e un motopeschereccio della marineria di Mazara del Vallo, Cartagine. Quando la motovedette italiana   arriva sul punto il motore del barcone è fermo, il legno imbarca acqua. Il mezzo italiano offre un “ridosso” all’imbarcazione proveniente dalla Libia (tecnicamente fa da riparo). All’improvviso, racconta la nostra fonte, la barca dei profughi si è “traversata”, nel senso che ha offerto il fianco alle onde. E’ stato quello il momento del massimo panico, la gente sul barcone sovraccarico si è spostata tutta su un lato. “Siamo salvi”, raccontano i superstiti. Questo gridavano donne, uomini e bambini che tendevano le mani ai soccorritori italiani. Una situazione rischiosissima, che rischia di far capovolgere il barcone, dalla motovedetta italiana viene lanciata una cima per tentare di raddrizzare l’imbarcazione. Operazione inutile perché il legno dei profughi si incrina su un lato, forse si spacca (le testimonianze sono ancora contraddittorie), centinaia di profughi finiscono in mare. Una scena apocalittica, che ci viene raccontata da chi ha assistito al naufragio. “Ho visto uomini colare a picco subito   , altri che pure nuotavano e potevano salvarsi lanciarsi in direzione dei loro amici per aiutarli. L’acqua era gelida in quel punto. Quando ti avvolge ti blocca. Il corpo va in ipotermia, si paralizza e tu vai a fondo come un pezzo di marmo”. Cinquant’uno sopravvissuti (c’è anche una donna incinta all’ottavo mese), 250 dispersi nel Canale di Sicilia, 40 donne, tantissimi bambini. Fuggivano dalla guerra e sognavano pace e libertà.  
IL FATTO QUOTIDIANO 7 APRILE 2011