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dalcieloallaterra

 

HO SCRITTO IL 9 LUGLIO 2009:

IL COLPO DI STATO IN HONDURAS!
UNA CHIARA ED INEQUIVOCABILE DIMOSTRAZIONE CHE I TIRANNI, ASSASSINI DELLA VITA, SONO SEMPRE GLI STESSI. APPOGGIATI, SPESSO, QUASI SEMPRE, DAL VATICANO E DAI RICCHI.
LEGGETE GLI ARTICOLI ALLEGATI SULLA CRIMINALE SITUAZIONE CREATASI IN HONDURAS CONTRO IL LEGITTIMO PRESIDENTE ZELAYA E LA POPOLAZIONE CHE LO HA ELETTO. IL "CONSIGLIERE" DEL PRESIDENTE BURATTINO MICHELETTI, IN MANO AI MILITARI, È UN ASSASSINO TORTURATORE VECCHIO STAMPO.
MAH! COSA DIRE! CI VORREBBE UNA RIVOLUZIONE.
NOI, SENZA ARMI, STIAMO FACENDO LA RESISTENZA IN ATTESA DELLA GIUSTIZIA DIVINA.


GIORGIO BONGIOVANNI

Montevideo (Uruguay) 
9 Luglio 2009

Il sicario di Roberto Micheletti. La storia del torturatore Joya Améndola,
braccio destro del presidente di fatto

di Gennaro Carotenuto, 5 luglio 2009

A chi ha vissuto la guerra sporca in Centroamerica negli anni ‘80 si è gelato il sangue quando è stata resa nota la notizia che il “ministro consigliere” (una specie di Gianni Letta) del presidente di fatto honduregno risponde al nome di Billy Joya Améndola, un altro paisà (Amendola è il cognome della madre) del quale essere orgogliosi.
Ripercorrere il curriculum di Joya Améndola è indispensabile per capire la cultura politica della giunta golpista presieduta dal simpatico paisà Roberto Micheletti.
Negli anni ‘80 Billy Joya Améndola era uno dei dirigenti principali del Battaglione d’Intelligenza 3-16, incaricato del sequestro e sparizione di oppositori politici e fondatore degli squadroni della morte “Lince” e “Cobra”. In questo ruolo era uno dei principali incaricati di sequestri, tortura e assassinii in Honduras ed è accusato con certezza di almeno undici uccisioni sotto lo pseudonimo di “dottor Arranzola”. Inoltre è accusato del sequestro e della tortura di sei studenti dei quali quattro sono tuttora desaparecidos. Il sequestro avvenne il 27 aprile del 1982 nella casa del viceprocuratore della Repubblica, Rafael Rivera violando l’immunità del numero due della giustizia del paese usando i metodi della dittatura argentina.
Infatti se non risulta che Joya Améndola sia stato addestrato negli Stati Uniti è certo invece che abbia lavorato in Argentina agli ordini di uno dei principali repressori, Guillermo Suárez Mason, noto tra l’altro come principale organizzatore del sequestro di bambini durante l’ultima dittatura. Inoltre ottenne una borsa di studio dell’esercito honduregno per studiare nel Cile di Augusto Pinochet. Successivamente, dall’84 al ‘91 era l’elemento di raccordo tra l’esercito honduregno e i repressori argentini e statunitensi nella guerra sporca.
Il governo spagnolo dal 1985 in avanti ha più volte chiesto l’estradizione di Joya Améndola attraverso l’Interpol ma il sistema giudiziario honduregno (quello stesso che oggi accusa Mel Zelaya di 18 capi d’imputazione) non ha mai dato corso ad alcuna richiesta. Nonostante ciò, quando nel 1994 un giudice di Tegucigalpa lo accusò di sequestro e tortura e nel 1995 fu emesso contro di lui un mandato di cattura, fu proprio in Spagna che si rifugiò e restò come richiedente asilo fino al 1998 quando fu espulso. In quegli anni operò come catechista in un collegio di Siviglia.
Lo ritroviamo adesso come braccio destro di Roberto Micheletti.
www.gennarocarotenuto.it

L’Honduras all’ombra di Negroponte.
Dietro il golpe di Tegucigalpa la mano dell’ex ambasciatore in Iraq
Nel 1979 aveva creato i Contras

L’Honduras è il paesino che ospita una base Usa dalle orecchie lunghe: i radar di Soto Cano ascoltano l’intera America Latina. Chi alza la voce nella Terra del Fuoco finisce negli archivi meglio documentati dei due continenti, eppure nessuno si è accorto che un po’ di militari vecchia maniera organizzava un colpo di stato attorno alla bandiera stelle e strisce. Contro il presidente Zelaya o per impasticciare il presidente Obama? L’altro interrogativo è meno tranquillo. L’isolamento internazionale dell’Honduras, espulso dall’Organizzazione degli Stati Americani, ha l’aria di una situazione calcolata per radicare il golpe ed aprire uno spazio dove non valgono le abitudini noiose della democrazia. L’Honduras diventa terra di nessuno a disposizione di industrie pesanti, traffici proibiti, campi dove si addestrano quei mercenari che chiamiamo «contractors», latifondi manovrati dagli orfani di Bush figlio. Mormora la Chiesa del cardinale. La Chiesa dei monsignori Opus Dei e Legionari di Cristo prega il presidente deposto di restare in esilio. E l’ombra di John Dimitri Negroponte torna in ogni sospetto. Nel rimbalzo di società di comodo il suo nome spunta fra i proprietari di immense piantagioni. Ha inventato l’Honduras moderno che si comporta così.
Quasi 70 anni, Negroponte cresce all’ombra di Nixon, Reagan, Bush padre. Comincia in Vietnam dove il generale Westmoreland è il primo a intuirne il genio. Durante l’agonia di Saigon recita la parte dell’americano tranquillo: ispira il protagonista del romanzo di Graham Green. Si dichiara «innamorato» del generale Van Thieu. Parla perfettamente vietnamita e l’amicizia con i militari estremi alimenta le leggende. Regan lo chiama al Pentagono, accanto a Colin Powel. Quando nel 1979 i sandinisti rovesciano in Nicaragua il dittatore Somoza, per ridare vigore alla presenza americana nella terza America, Negroponte finisce in Honduras, ambasciatore-viceré. Trasforma la piccola delegazione (che veglia su 3 milioni di abitanti) nella più imponente ambasciata delle americhe: 6 mila funzionari, cattedrale Cia. Assieme ad Oliver North organizza l’armata dei contras, controrivoluzionari che fanno la guerra al Nicaragua per «ristabilire l’ordine». Nasce la brigata 314-m con l’impegno di schiacciare le teste calde: torture, fucilazioni di massa documentate a Washington dalla Commissione per la Difesa dei Diritti Umani. Ma è l’operazione IranGate il momento alto della missione. North mette in moto un fantastico girotondo segreto: coinvolge le industrie belliche di Pinochet e i suoi cargo militari. Portano armi a Saddam Hussein (impegnato nella guerra a Khomeini per conto Usa), tornano con missili e mitragliette raccolte a Beirut da imprecisati mediatori. Produzione rigidamente sovietica da seminare lungo il confine tra Honduras e Nicaragua per attribuire al governo di Managua i massacri degli indigeni Miskitos. Genio dell’operazione, Negroponte.
Inaugura a Tegucigalpa un protettorato senza reticenze. È lui ad annunciare in Tv il risultato delle elezioni. Nel marzo ’83, appena Newsweek dà notizia di fantasmi armati (i contras, appunto) accampati attorno la frontiera del Nicaragua, l’ambasciatore chiama i giornalisti. Niente domande, parla solo lui: «È falso che esista una guerriglia organizzata per sfinire il governo di Daniel Ortega». A chi chiede informazioni sull’improvviso ingigantirsi dell’ambasciata e di un contributo «di assistenza» passato da 780 mila dollari a 125 milioni, risponde agitando la mano. «È domenica, giorno sacro al riposo. Andate a controllare: non troverete niente». E se ne va. 20 ore di viaggio e la colonna di noi curiosi arriva a Cifuentes, provincia di Paradiso, 12 chilometri dal confine col Nicaragua. Campo militare recintato, tute leopard armate di Ak 47, fabbricazione sovietica: mitragliette palestinesi raccolte dagli israeliani a Beirut. Ragazzi americani istruiscono meticci e indios Misquitos «perseguitati dai sandinisti». Ci accolgono con diffidenza, non fanno vedere gran che se non la mensa dai lunghissimi tavoli. Permettono l’incontro con una pattuglia appena tornata dalla ricognizione in «territorio nemico». Odiato Nicaragua.
Negroponte continua la carriera a Panama: prepara l’invasione che fa saltare il presidente Noriega. Finalmente la promozione a governatore di Bagdad. Gran finale, zar dei sette servizi segreti, l’uomo più potente degli Stati Uniti fino all’arrivo di Obama. Il golpe di Tegucigalpa può essere il prologo della nuova commedia che l’ex americano tranquillo mette in scena nel suo Centro America. Ma se il presidente deposto riappare accompagnato dalla signora Kirchner, l’avanspettacolo può trasformarsi in dramma. Nessuno torna in dietro.
Maurizio Chierici
L'UNITA' 6 LUGLIO 2009