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DAL CIELO ALLA TERRA


GIOVANNI PAOLO II SANTO
 
ASCOLTATE E POI MEDITATE E DEDUCETE!
IMMAGINATEVI GESÙ CRISTO IL QUALE DURANTE IL GIORNO PREDICA LA PAROLA DI DIO PADRE, GUARISCE GLI STORPI E I CIECHI, RESUSCITA I MORTI, MOLTIPLICA I PANI E I PESCI PER TUTTI, DIFENDE I DEBOLI, I POVERI, I PERSEGUITATI A CAUSA DELLA GIUSTIZIA, E IL GIORNO DOPO IMMAGINATEVI LO STESSO GESÙ CHE VA A BRACCETTO CON PONZIO PILATO, GOVERNATORE FEROCE E TORTURATORE DELLA POPOLAZIONE CIVILE PALESTINESE ED EBREA DI QUEL TEMPO, CHE VA A CENA CON CAIFA, SOMMO SACERDOTE IPOCRITA AMICO DI DELINQUENTI E AMICO DELLO STESSO GOVERNATORE TIRANNO, CHE COPRE GLI SCANDALI E LE ORGE DI ERODE CHE AVEVA APPENA FATTO DECAPITARE IL SUO AMICO E DISCEPOLO GIOVANNI IL BATTISTA.
IMMAGINATEVI GESÙ CRISTO CHE TESSE TRAME CON I RICCHI DI QUEL TEMPO, CHE VIENE A CONOSCENZA DELLA DELINQUENZA ORGANIZZATA DI QUEL TEMPO, CHE RICICLA SOLDI CON LA SUA CHIESA, DELLA QUALE LUI FA PARTE, TOLLERA O ADDIRITTURA OMETTE QUESTI GRAVISSIMI FATTI.
IMMAGINATEVI GESÙ IL GIORNO DOPO CHE FA IL DISCORSO DELLA MONTAGNA, “BEATI I POVERI, BEATI GLI ASSETATI D'AMORE E DI GIUSTIZIA, GUAI A VOI RICCHI” E POI IN REALTÀ È AMICO DEI CRIMINALI.
SAREBBE TOLLERABILE PER VOI CREDENTI QUESTO COMPORTAMENTO DI GESÙ CRISTO FIGLIO DI DIO? OPPURE DI SAN PIETRO CHE HA EREDITATO DA GESÙ IL COMPITO DI ESSERE PASTORE DELLA CHIESA, CHE METTE IN PRATICA QUESTE OPERE NEFASTE DI CUI VI HO ACCENNATO SOPRA? NOI CREDIAMO CHE VI RIBELLERESTE CONTRO GESÙ. GRAZIE A DIO IL CRISTO È STATO PERFETTAMENTE COERENTE E DIVINO CON LA SUA UMANA NATURA E CON LA SUA REGALE ED AMOREVOLE  SOLARITÀ.
PURTROPPO I SUCCESSORI DI PIETRO L'APOSTOLO, A PARTE QUALCHE ECCEZIONE (GIOVANNI PAOLO I ASSASSINATO DAL VATICANO ED ALTRI),  E VERI SANTI (SAN FRANCESCO D'ASSISI, PADRE PIO ED ALTRI), SONO STATI TUTTI DISCEPOLI DEL MALIGNO.
ECCO, MALGRADO LE NOBILI GESTA DI GIOVANNI PAOLO II, QUELLO DI AVER CHIESTO PERDONO PER I PECCATI DELLA CHIESA, PER ESSERE STATO AMICO DI UN VERO SANTO CHE SI CHIAMA PADRE PIO DA PIETRELCINA, PER AVER COMBATTUTO I REGIMI TOTALITARI COME IL COMUNISMO, NON È SUFFICIENTE TUTTO QUESTO AFFINCHÈ LUI POSSA ESSERE PROCLAMATO SANTO, NON È SUFFICIENTE PERCHÉ GIOVANNI PAOLO II È STATO AMICO DI DITTATORI COME PINOCHET, NON HA PROTETTO VESCOVI SANTI COME MONSIGNOR ROMERO, NON HA IMPEDITO IL RICICLAGGIO DEL DANARO SPORCO DELLA MAFIA ALL'INTERNO DELLA SUA BANCA DEL VATICANO, TRAMITE IL VESCOVO MAFIOSO PAUL MARCINKUS, HA COPERTO LA BESTEMMIA CONTRO LO SPIRITO SANTO ALL'INTERNO DELLA SUA CHIESA (LA PEDOFILIA), NON HA PUNITO SEVERAMENTE QUELLI CHE HANNO OFFESO GLI INSEGNAMENTI DI GESÙ CRISTO, È STATO UN OSCURANTISTA PERCHÈ NON HA PROTETTO I MISSIONARI SUDAMERICANI, QUELLI DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE.
È STATO UN PAPA  IPOCRITA, NON HA DETTO  SI, SI, NO, NO ( “... ma voi dite, si,si no,no tutto il resto viene dal maligno”. (Matteo 5,33-37). UN PAPA POLITICO, UN PAPA CHE NON HA MALEDETTO I FEROCI DITTATORI ARGENTINI, MASSERA E VIDELA, ANZI LI HA TOLLERATI E HA PERMESSO AL SUO PRIMATE CARDINALE MONSIGNOR BERGOGLIO DI PRANZARE E CENARE CON LORO BENEDICENDOLI E APPROVANDO I LORO CRIMINI CONTRO DIO. UN PAPA CHE NON MERITA DI ESSERE SANTO.
SCUSATECI! MA NOI ABBIAMO IL CORAGGIO DI DIRE LA VERITÀ, PERCHÈ È LA VERITÀ CHE VI FARÀ LIBERI. (Giovanni, 8,32).
PACE!

                                                                         DAL CIELO ALLA TERRA

Sant'Elpidio a Mare (Italia)
1 maggio 2011. Ore 16:09
Giorgio Bongiovanni

KAROL WOJTYLA: QUELLO CHE I MEDIA EVITANO DI RICORDARE

Il primo maggio, occupando in maniera per niente casuale una data tradizionale del mondo del lavoro e della sinistra laica, Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II, sarà beatificato appena sei anni dopo la morte. Per la chiesa cattolica è uno scalino necessario verso la santità.
Anche se circa due milioni di fedeli starebbero viaggiando verso Roma in queste ore, l’opera di Wojtyla mantiene aspetti polemici, rigorosamente dimenticati in questi giorni per le sue omissioni nelle denunce dei casi di pedofilia, per la sua alleanza con le dittature latinoamericane e con prelature discusse come l’Opus Dei e i Legionari di Cristo o per la sua guerra senza quartiere contro la modernità, la chiesa di base e lo spirito del Concilio Vaticano II.
Entrate nella cattedrale di San Salvador, in realtà poco più di una parrocchia di periferia rispetto allo splendore dell’Antigua Guatemala, la sede della Capitania dell’impero, e guardate alla destra della navata centrale. Non confondetevi! Quel sacerdote sorridente rappresentato in quella gigantesca pittura non è monsignor Oscar Arnulfo Romero, il vescovo assassinato nel 1980 dagli squadroni della morte del governo di ultradestra. Quel prete, lo sguardo mansueto del quale è impossibile evitare di incrociare, è San José María Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, l’organizzazione che riunisce cattolici eccellenti e della quale Karol Wojtyla fu sdoganatore e sicuro alleato politico. Tanto alleato da santificare il polemico sacerdote basco senza considerare la vicinanza di questo alla dittatura franchista spagnola, l’antisemitismo, lo scandaloso acquisto di un titolo nobiliare, le denunce sulla manipolazione dello stesso processo di santità. Quello che importava era offrire un santo alla classe dirigente cattolica, fieramente anticomunista, che interpretasse un cattolicesimo nel quale denaro e potere fossero celebrati come un cammino verso la salvezza.
Per trovare segni che ricordino monsignor Romero, il viaggiatore che visiti El Salvador –tra questi Barack Obama arrivato fin lì lo scorso marzo- deve cercare una cappellina, spesso chiusa, collocata all’esterno di una cattedrale rigorosamente controllata dall’Opus. Anche se i fedeli umili e il piccolo mercatino all’esterno è tutto per Romero, la gloria di dio –del dio ufficiale- appare tutta riservata a Escrivá.
Escrivá, santo; Wojtyla (per ora) beato; e Romero… niente. Pochi mesi prima del suo martirio, il 7 maggio del 1979, il vescovo centroamericano aveva presentato a Giovanni Paolo II un dossier sulle violazioni dei diritti umani nel suo paese. Tra i documenti vi erano le foto del corpo di un giovane sacerdote torturato e assassinato dai militari. Dall’udienza Romero era uscito dicendosi “costernato” per il gelo col quale la sua denuncia era stata accolta dal papa: “deve avere relazioni migliori col suo governo” furono le categoriche parole del pontefice.
Con quelle parole il cammino verso la santità aveva smesso di essere un mistero per rispondere a una logica politica terrena che in America latina per Karol Wojtyla significò l’alleanza con molti Augusto Pinochet e con i carnefici del Piano Condor. Così si spiega perché, dopo 31 anni, il processo di beatificazione di Romero si sia perduto negli archivi della Congregazione per le cause dei santi, mentre la causa del fondatore dell’Opus seguiva un cammino accelerato. Molteplici testimoni, tra i quali Ernesto Cardenal, sacerdote e ministro della Cultura nel Nicaragua sandinista, raccontano che lo stesso Wojtyla spiegò pubblicamente che la beatificazione di un martire come Romero non era opportuna perché “sarebbe stata strumentalizzata dalla sinistra”.
Allo stesso cammino percorso da Escrivá era destinato un altro alleato di Wojtyla e tra gli uomini simbolo della chiesa anticonciliare, Marcial Maciel, il fondatore dei Legionari di Cristo, una sorta di Opus alla destra dell’Opus, oggi molto vicina al governo di Felipe Calderón in Messico. Anche se è dimostrato che dal 1976 il futuro papa fosse informato di severe critiche a Maciel, anche questo era destinato a una santità fast track, nonostante le sue due concubine, i vari figli che personalmente stuprò per anni, le accuse di furto, malversazioni, appropriazioni indebite e altri delitti. Solo dopo la morte di Wojtyla Maciel smise di essere un santo vivente e solo dopo la scomparsa di questo, avvenuta nel 2008, la chiesa cattolica si vide obbligata a smettere di coprire le colpe di questo. Con Maciel si era ripetuta per decenni la pratica wojtylista del silenzio assoluto: il papa era con certezza informato e aveva svolto un ruolo attivo nell’occultare i crimini di Maciel, che andavano ben oltre gli abusi sessuali come quelli di centinaia di preti pedofili, cominciando dal cardinale austriaco Hans Hermann Groër e lo statunitense Bernard Law.
Così domani sarà beatificato il Wojtyla alleato dei Maciel e degli Escrivá, nemico di Romero, lasciato solo nel suo martirio, e implacabile cacciatore di streghe nella chiesa cattolica latinoamericana uscita dal Congresso Eucaristico di Medellin del 1968 con quell’intollerabile “opzione preferenziale per i poveri”. Fu contro la Teologia della Liberazione che Giovanni Paolo II compì il primo dei suoi innumerevoli viaggi all’estero. Nel gennaio del 1979 andò a Puebla, Messico, per la terza conferenza episcopale latinoamericana, alla quale impresse una svolta duramente conservatrice. Da allora centinaia e centinaia di religiosi progressisti furono rimossi e ridotti al silenzio da Giovanni Paolo II. Il primo fu uno dei massimi teologi conciliari, Bernard Häring. Tra le figure di maggior spicco vi fu Pedro Arrupe, preposito generale gesuita, il vescovo dei migranti e delle prostitute, il francese Jacques Gaillot, che umiliò assegnandolo all’inesistente diocesi di Partenia, al vescovo di San Cristóbal de las Casas, Samuel Ruiz, sensibile al mondo indigeno e zapatista.
È così che tra gloria e fumi d’incenso si arriva ad una beatificazione ritardata il minimo indispensabile per mantenere la decenza di un processo che lo slogan “santo subito” pretendeva di saltare. A Roma un merchandising più o meno kitsch sul “beato Wojtyla” invade Via della Conciliazione. Lo stesso succede a Wadowice, nel sud della Polonia dove il papa nacque 91 anni fa e secondo punto più importante delle celebrazioni. Oltre mezzo milione di pellegrini visitano ogni anno conventi e hotel, chiese e ristoranti e il museo dedicato a Giovanni Paolo II che proprio domani inaugurerà altri mille metri di spazi espositivi.
Anche in questo contesto l’immagine di Wojtyla, con un messaggio generico di pace e amore che non fa onore alla complessità e alla statura indiscutibile del personaggio, nasconde la realtà di una chiesa cattolica polacca appiattita ogni giorno di più sul partito di ultradestra, razzista, antisemita, ultranazionalista del defunto Lech Kaczynsky e del suo gemello Jaroslav. L’appiattimento sulla destra reazionaria più volgare, il Pis (Legge e Giustizia) dei gemelli Kaczynsky, come i messaggi antisemiti lanciati ogni giorno da Radio Maria sono la testimonianza della miserabile fine dell’incontro tra il cattolicesimo e il Secolo impostato su ben altri canoni dal Wojtyla di Solidarnosc.
Non è un caso che la situazione polacca sia simile a quella dell’altro paese dove il wojtylismo incise più profondamente: l’Italia. Le gerarchie cattoliche non si sono mai distanziate dal governo di Silvio Berlusconi nonostante i continui scandali sessuali e di corruzione, l’alleanza con la Lega Nord e l’assoluta mancanza di carità verso i migranti. Il primo ministro continua a comprare il loro silenzio concedendo enormi vantaggi economici in termini di finanziamenti alla scuola privata o esenzioni fiscali e impedendo qualunque dibattito su temi etici come la fecondazione assistita, i matrimoni omosessuali, le cure palliative. Ciò anche se vari scienziati, tra i quali l’anestesista Lina Pavanelli, abbiano studiato come lo stesso Wojtyla abbia deliberatamente interrotto le sue cure, accelerando la morte, cosa che la chiesa considera peccato mortale per i comuni fedeli. È il Wojtyla conservatore, sempre irriducibilmente contro qualunque tipo di contraccezione e contro l’uso del preservativo nella lotta all’AIDS. È il Wojtyla che preferiranno non ricordare domenica a Roma.
Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it  
Sabato 30 aprile 2011
 
DIO NON HA RELIGIONI
Intervista del 5 settembre 2005 a Frei Betto
 
La Teologia della liberazione spiegata da uno dei padri fondatori.
Due dei teologi tra i più prestigiosi al mondo, Frei Betto e Giulio Girardi, ci hanno spiegato la Teologia della liberazione, “nata negli anni Sessanta dalla base, prima in Perù poi in Brasile, da religiosi convinti che non si possa insegnare la parola di Gesù senza insegnare quali sono i diritti delle persone, quale coscienza si deve avere per essere cittadini, per avere diritti dei propri diritti”.
Li abbiamo incontrati a Piacenza, nell’ambito della manifestazione “Carovane, le città invisibili”, (www.carovane.pc.it)una settimana di incontri con la letteratura, la poesia e il cinema dei paesi del sud del mondo.
Data la complessità del tema, Peace Reporter ha scelto di dedicare due articoli distinti ai due grandi teologi, che con approcci diversi spiegano, approfondiscono, raccontano cos’è la Teologia della Liberazione e cosa significhi viverla oggi.

Fratel Betto, al secolo Carlos Alberto Libanio Christo, è un freidomenicano di 62 anni, che da anni scrive libri e trattati. Amico fraterno di Lula, è entrato anche in politica per sostenerlo nel progetto sociale Fame Zero, che adesso però non segue più direttamente. Da qualche mese è uscito dal governo “per due motivi”: “Perché volevo avere il tempo per scrivere e perché non condivido la politica economica del governo”. Ha un fare gentile e un aspetto sereno e deciso. Il suo volto disteso è segnato da guizzi di profonda ironia che testimoniano la sagace intelligenza.
Con semplicità ci ha spiegato la Teologia della Liberazione, cos’è, cosa ha dato alla gente più povera e miserabile, e perché ancora oggi, dopo quasi 40 anni, continui a sollevare tanti dubbi e preoccupazioni nella Chiesa di Roma.

Cos’è. “In America Latina la maggior parte della gente vive nella povertà e la maggioranza è di fede cristiana. Quindi la domanda principale di questa gente è: Dio vuole che noi rimaniamo in questa sofferenza? Oppure, come sta scritto nella prima pagina della Bibbia, ha creato il mondo in modo che fosse un giardino, un meraviglioso giardino con uccelli, fiori, acqua cristallina? La Teologia della liberazione, non è una teoria, non è un qualcosa nato nelle biblioteche, alle scrivanie, nelle accademie, nelle università religiose… No! È la sistematizzazione dell’esperienza di fede dei poveri alla ricerca della loro liberazione”. 
Perché stupirsi? Secondo frei Betto, in un mondo d’oppressione, in cui vogliamo credere nel Dio della vita – e la vita è il dono maggiore di Dio – la Teologia della liberazione significa coniugare la visione della fede con l'anelito alla liberazione. “Penso che ogni cristiano che viva il mistero della fede con gioia, con senso di liberazione, che vive l’amore, l’impegno per la lotta per la giustizia, pratichi la Teologia della liberazione”, precisa. “Una volta un vescovo mi chiese: “Ma perché cercare un’altra teologia quando c’è già la teologia della Chiesa di Roma?” E io gli risposi: “Nel Vangelo ci sono quattro teologie diverse, quella di Matteo, di Giovanni, di Luca e di Marco. E se ci sono già queste quattro visioni diverse di Gesù, queste quattro diverse visioni della chiesa, perché stupirsi proprio della Teologia della liberazione?”.

La speranza. “Vivere la fede in America Latina è avere la speranza di superare la miseria e la povertà”, continua il domenicano. “La gente incontra nella Bibbia, nella parola di Dio, il proprio alimento per capire meglio se stessi, per capire la lotta che sta vivendo e per trovare soluzioni. Faccio una metafora per spiegare meglio questo concetto. Per molta gente aprire la Bibbia è come aprire una finestra su interessanti fatti del passato. Nelle comunità ecclesiali di base, invece, la gente povera, quando apre la Bibbia, è come se guardasse se stessa in uno specchio, lo fa per riuscire a capirsi meglio, qui e ora”.
E per aiutare la gente a capire meglio le scritture, la vita di Gesù, nella prospettiva liberatrice, Betto ha scritto anche un libro “Uomo fra gli uomini”, una vera e propria lettura popolare del Vangelo.

I cambiamenti. “Molti qui in Italia mi chiedono cosa sarà della nostra Teologia adesso, con Papa Ratzinger – racconta fratel Betto - Beh, devo dire che questa cosa ogni volta che vengo in Italia mi sconcerta: voi siete molto vicini al Papa, mentre noi in America Latina siamo molto vicini a Dio. Dovete capire, che molto spesso quello che avviene a Roma non ha molto riflesso nella Chiesa dell’America Latina. Anche le nomine di vescovi conservatori molte volte non provocano reazioni, perché c’è così tanto sfruttamento, così tanta sofferenza – tanto per dirne una nel mio Paese c’è ancora il lavoro in schiavitù – che tutto il dolore della gente parla più alto, parla direttamente a Cristo. Per questo la Teologia della liberazione nasce proprio in America Latina. E comunque, io non credo che il rinnovamento della Chiesa venga dall’alto, spero arrivi dal basso. Credo che lo Spirito Santo lavori dal basso.
L’unica cosa che so – incalza - è che trent’anni fa era soltanto la Teologia della liberazione che parlava di debito estero, di colonialismo, di neoliberismo, che criticava l’imperialismo, la politica estera degli Stati Uniti. Adesso questi temi appaiono nei documenti finali di Giovanni Paolo II. Eppure era un papa che aveva tollerato la guerra di Bush in Iraq del 1991, e che poi è arrivato a condannare l’invasione dell’Iraq di Bush figlio. Sono solito dire, infatti, che la Teologia della liberazione è arrivata a Roma. Roma può pure non averne coscienza, ma è così. Se si pensa che il Papa ha mobilitato 150mila persone contro il G8 a Genova! E’ esattamente quello che noi della Teologia della liberazione avremmo voluto fare”. Poi conclude, accennando alle tante contraddizioni del Vaticano: “Giovanni Paolo II stesso aveva una contraddizione: era un uomo con la testa di destra e il cuore di sinistra, perché era molto ortodosso nella dottrina, ma molto sensibile ai temi sociali”.
Ortodossia. “Gesù predicava il regno di Dio, ma purtroppo quello che è venuto dopo è la Chiesa”, riprende e, riferendosi all’incontro della Gioventù di Colonia, sottolinea: “Il Papa ha ricordato l’importanza per i giovani di leggere il catechismo della Chiesa, ma io avrei preferito che avesse sottolineato l’importanza di leggere il Vangelo. Dobbiamo ricordare che Dio non ha religione. Non è tanto importante avere fede in Gesù, quanto avere la fede di Gesù. Il messaggio centrale di Gesù è non tanto quello di avere fede quanto quello di mettere in pratica l’amore liberatorio”.
Secondo frei Betto se si analizzano i quattro Vangeli ci sono principalmente due domande che vengono rivolte a Gesù. La prima è: ‘Signore, che devo fare per guadagnare la vita eterna?’. “Ecco – spiega il frate - mai questa domanda esce dalla bocca di un povero. Esce sempre da coloro che si sono assicurati la vita terrena e che quindi pensano ad assicurarsi anche l’al di là. È la domanda tipica dell’uomo ricco, che vuol sapere come poter comprare anche il paradiso. E tutte le volte che Gesù ascolta questa domanda si sente a disagio, irritato. E ha anche reagito in modo un po’ aggressivo quando un ricco, nel porgli la domanda, lo adula apostrofandolo: ‘Buon maestro’. ‘Io non sono il maestro, il buon maestro è Dio’, gli risponde Gesù.
La seconda domanda che si incontra è invece: ‘Signore, come devo fare per avere una vita in questa vita?’. Ecco, questa viene solamente dalla bocca dei poveri. ‘Le mie mani sono inerti, hanno bisogno di lavorare. Sono cieco, ho bisogno di vedere. Sono paralitico, voglio camminare. Mio fratello è morto, vorrei vivesse. Mia figlia è malata, vorrei che guarisse’. I poveri chiedono a Gesù vita in questa vita. E a loro Gesù risponde sempre con misericordia e compassione. Perché lui stesso ha detto io sono venuto qui perché tutti abbiano vita, e una vita piena”.

Tutto sbagliato. Per il teologo brasiliano, tutto il mondo in cui viviamo oggi è una grande offesa al progetto di Dio. Perché in nessun versetto della Bibbia sta scritto che la povertà è gradita agli occhi di Dio. La povertà è una maledizione. È frutto dell’ingiustizia. Per questo Gesù si pone dalla parte dei poveri e li chiama beati: li considera i protagonisti della conquista di una società in cui tutti veramente avranno una vita.
“Dobbiamo riconoscere la presenza di Dio in tutte le tradizioni religiose. Eppure noi cristiani soffriamo del complesso di superiorità che ci fa pensare di essere migliori rispetto a tutte le altre confessioni. Ed è un vero e proprio peccato. I migliori sono coloro che amano come Gesù amava. Migliore era Francesco di Assisi, che si spogliò delle sue ricchezze per andare con i poveri”. E per frei Betto era addirittura migliore Che Guevara, “uomo ricco che si è dedicato ai poveri. E non era un credente”, precisa il frate. Poi aggiunge: “Sicuramente, quando il Che è salito al cielo Gesù gli avrà detto: ‘Sei il benvenuto. Io avevo fame e tu mi hai dato da mangiare, hai lottato per questo’. E lui avrà risposto: ‘Guarda Signore, io non ero credente, e non ti ho mai incontrato perché non ho mai messo piede in una chiesa’. E Gesù gli avrà risposto: ‘Ogni volta che hai lottato per i poveri, hai lottato per me’. L’importante – asserisce – è dunque che ognuno di noi ami per la nostra capacità di amare, solo così ci salveremo. La fede serve solo per capire questa dimensione di amore. Nella prima lettera di Giovanni si dice che Dio era amore. Chi ama conosce Dio. C’è molta gente che va in chiesa e non ama. Mentre chiunque ami conosce Dio, fa esperienza di Dio, perché Dio è amore”.
L’ideale dell’evangelizzazione secondo il teologo della liberazione è quando un giovane di 16/17 anni, davanti alla prima esperienza di amore riconosce che questa è anche esperienza di Dio. Non c’è un amore di Dio e un amore umano, tutte le forme di amore sono divine. “E questo lo sanno ben spiegare i poeti – conclude - Una volta in Nicaragua conobbi il poeta, che è ormai morto, José Coronel Utrecho. Era già molto vecchio, ma era ancora molto innamorato della moglie, Julia, alla quale aveva dedicato tutti i suoi poemi. Ecco, c’è una poesia in cui descrive la loro luna di miele. La prima notte di nozze, in albergo, aveva dato ordine di non essere disturbato per nessun motivo. Una volta pronto per il letto nuziale, una persona ha bruscamente bussato alla porta. Che succede? Si è chiesto. Ci sarà un incendio nell’hotel, eppur sono io quello incendiato. Apre la porta e si trova davanti Dio, che gli chiede: ‘Josè il letto è molto grande?’, ‘Sì Signore venga pure, ci entriamo tutti e tre’. Ma il Dio gli risponde: ‘Josè, tre siamo già noi’ e il poeta ribatte: ‘Signore non c’è problema,
venite pure tutti e tre. Qui c'è posto per tutti’. E il poema termina con: ‘E’ stata una notte di una grande orgia spirituale’.”
Stella Spinelli
Peace Reporter