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TUTTI I PERCHÉ DI UN CONFLITTO CHE VA AVANTI DA 60 ANNI
1 Perché questa nuova fiammata di violenza in Kashmir? Dopo un periodo di relativa calma, le proteste sono cominciate l’11 giugno di quest’anno, quando uno studente di 17 anni è morto per essere stato colpito da una bomba lacrimogena lanciata dalla polizia durante una marcia di protesta a Srinagar. Da allora oltre 70 civili sono stati uccisi dalle forze di sicurezza indiane nelle manifestazioni dei gruppi separatisti.
2 Quali sono le radici storiche del conflitto?
Con la prima guerra tra India e Pakistan nel 1947-48 le cinque zone che componevano il principato del Jammu & Kashmir, un tempo «il paradiso» dei maraja, furono divise: due aree sotto il controllo pachistano (una parte venne ceduta da Islamabad alla Cina, mossa giudicata illegittima da New Delhi). All’India rimasero tre zone: il Jammu e il Ladakh, a maggioranza hindu. E la valle del Kashmir, a maggioranza musulmana, che tende all’indipendenza. Due delle tre guerre combattute tra Pakistan e India, potenze nucleari, hanno avuto come epicentro il Kashmir. Negli ultimi vent’anni lo scontro tra gruppi separatisti (appoggiati dal Pakistan) e autorità indiane ha causato circa 100 mila vittime. Oggi l’influenza di questi gruppi (e le infiltrazioni dal Pakistran) si sono ridotte. L’India di fatto ha vinto la guerra. Ma è in difficoltà davanti a una nuova generazione di giovani oppositori kashmiri, spesso teen-ager cresciuti sotto il regime militare imposto da New Delhi, che costituisce il nerbo del movimento di protesta (e il grosso delle vittime). Le loro armi sono pietre. Organizzano le manifestazioni usando Facebook, YouTube oltre ai messaggi dalle moschee.
3 Cosa succederebbe se si votasse un referendum per l’indipendenza?
Secondo un recente sondaggio del think tank Chatham House dal 70 al 95% della popolazione del «Kashmir indiano» è favorevole all’indipendenza. Tanto il Pakistan quanto l’India sono contrari. Attualmente i due eserciti osservano un patto di cessate il fuoco a oltre 5mila metri di altezza lungo la linea di confine (LoC, linea di Controllo istituita dopo il conflitto del ’49), ancora monitorata da truppe Onu. Islamabad chiede che la popolazione del Kashmir possa votare in un referendum sul futuro, sulla base di numerose risoluzioni delle Nazioni Unite. Il presidente Asif Ali Zardari nel 2008 ha denunciato la violenza separatista come «terrorismo».
4 Che ruolo ha la religione nel conflitto?
Un aspetto importante della disputa sul Kashmir. La popolazione è per oltre il 60% musulmana, rendendo il Jammu & Kashmir l’unico Stato indiano dove gli islamici sono in maggioranza.
5 Quale può essere il futuro del Kashmir?
Una soluzione sulla regione contesa non può prescindere da un accordo di ampio raggio tra Pakistan e India, i due riottosi alleati degli Stati Uniti. Dopo alcune timide aperture (il ripristino di un collegamento via pullman tra i due Kashmir nel 2005) è piombato il gelo in seguito agli attacchi terroristici di Mumbai (novembre 2008). Nel febbraio di quest’anno sono riprese le discussioni ufficiali tra i due Paesi. L’India ha sempre sostenuto che i confini del Kashmir non possono essere modificati ma possono auspicabilmente diventare «irrilevanti». Proprio ieri il governo di New Delhi doveva discutere l’alleggerimento della legge che regola la presenza (onnipotente) delle forze armate indiane nella regione. Le associazioni dei diritti umani accusano le forze dell’ordine di gravi violazioni nei confronti della popolazione civile.
6 Perché le donne sono in prima linea nelle manifestazioni di protesta?
Oltre due decenni di conflitto hanno lasciato oltre 30mila vedove nel «Kashmir indiano» (e circa 10 mila orfani). Le donne kashmire sono tra le «più politicizzate del continente» secondo gli studiosi della Kashmir University. In prima fila nelle proteste contro le autorità indiane ci sono mamme come Parveena Hangar, casalinga di Gangbugh: suo figlio Javed fu arrestato nel 1990. Non è mai tornato a casa. I desaparecidos in Kashmir sono centinaia. «Finché avrò fiato, chiederò: dove sono finiti i nostri figli, i nostri mariti?».
IL CORRIERE DELLA SERA – 14 SETTEMBRE 2010