I denti degli ippopotami sono più facili da contrabbandare in molti Paesi del mondo in cui il loro commercio è ancora legale. Senza contare il fatto che il costo sul mercato globale è più basso rispetto a quello delle zanne.
Il prezzo reale da pagare per indossare un ciondolo d’avorio o per esporre in casa un oggetto in bella vista è però l’estinzione di questi animali. Mentre il cugino pachiderma è protetto in gran parte del mondo da normative internazionali che lo hanno classificato tra le specie a più alto rischio estinzione, l’ippopotamo non domina ancora le classifiche per la conservazione della specie.
Nello specifico, l’elefante è inserito nell’Appendice I della Convenzione sul commercio internazionale di flora e fauna selvatica in pericolo (CITES), mentre l’ippopotamo è nell’Appendice II. Una differenza sostanziale che apre alla possibilità di sfruttare e commercializzare il secondo. E così, se l’elefante se ne va in giro per la savana con collari radio che ne tracciano la posizione, l’ippopotamo ha il collo libero, facilitando di molto il lavoro dei bracconieri.
Ma quali sono le rotte di questo traffico? Il 75% del totale dei denti in commercio viene estratti in Uganda e in Tanzania, nonostante la pratica sia vietata dal 2014. Oltre il 90% di questi prodotti viene spedito Hong Kong, dove viene importato e poi ri-esportato. E dai dati registrati ad Hong Kong, viene fuori che la percentuale di denti di ippopotamo derivante dall’Uganda e dalla Tanzania è ancora più alta.
Pubblicato il 10/10/2017
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