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figliTREVISO C’è una storia, tra le pagine, che parla di integrazione e solidarietà nate da dolore e paura, oggi così vicine e partite da così lontano. Ma anche, con aneddoti di quotidiana semplicità, di cosa significa aprire le porte di casa, da un giorno all’altro, a sei figli africani arrivati dal mare. Accoglierli nelle stanze accanto a quattro figli già grandi e due genitori che si sono battuti per la dignità di chi, povero e affamato, cerca una famiglia prima ancora che un tetto. Ragazzi con la pelle scura e il cuore grande che dopo pochi mesi di convivenza già hanno preso il cognome del papà italiano: «Io sono Saeed Calò».

La (grande) famiglia Calò

Diario di mamma

Il desiderio di scrivere di Nicoletta Ferrara è nato dal bisogno di non dimenticare ed è appena diventato un libro: «A casa nostra. I nuovi ragazzi della famiglia Calò», edito da Emi, Editrice missionaria italiana, con la prefazione di padre Alex Zanotelli. È l’intimo e sincero diario di mamma Nicoletta, maestra di scuola elementare e moglie del professore simbolo dell’apertura dei porti, Antonio Silvio Calò. Non voleva perdere nemmeno un minuto, una frase, un ricordo degli ultimi tre anni e mezzo trascorsi sotto i riflettori (e le polemiche) e in una cucina improvvisamente affollata. Lunghi mesi di risate e abbracci, di naufraghi smarriti e ritrovati che ti chiamano mamma, ma anche di burocrazia e diffidenza, della difficoltà a far procedere le pratiche per il riconoscimento del diritto d’asilo, degli sguardi preoccupati dei vicini, dei commenti rabbiosi sui social network, gesti e parole di disapprovazione.

Da Lampedusa alle campagne leghiste

Succede se a Povegliano, nella campagna fuori Treviso, terra di profondo radicamento leghista, in una villetta come tante prende vita un’esperienza extra-ordinaria di gestione di un’emergenza nazionale come quella dell’immigrazione. Tutto è cominciato con la tragedia di Lampedusa, un barcone della speranza affondato spezzando settecento vite. Antonio è tornato a casa arrabbiato, deluso, ferito, «basta, stanno morendo tutti, dobbiamo fare qualcosa». Non avevano molto altro da offrire, così aprirono le porte della loro abitazione. Era il giugno del 2015, la prefettura di Treviso cercava alloggio per i profughi che continuavano a sbarcare e venivano distribuiti ovunque ci fosse un letto a disposizione. I Calò ne trovarono sei, chiedendo di poter ospitare delle ragazze. Invece arrivarono sei maschi, tutti musulmani. Non era così che l’avevano immaginata ma adesso non cambierebbero questa vita con nessun’altra.

Moltiplicazione dei «figli»

I figli da quattro diventano dieci. Andrea, Giovanni, Elena e Francesco si ritrovano sei fratelli che girano per casa e la quotidianità viene sconvolta in una Babele di lingue intrecciate: Ibrahim e Tidjane della Guinea-Bissau, Sahiou e Mohamed del Gambia, e poi i due giovanissimi Saeed, del Ghana e Siaka, della Costa d’Avorio, appena diciottenni. Nell’Italia del Decreto Salvini, fatta di tante forme di intolleranza, il diario della famiglia Calò indica una strada nuova, capitolo dopo capitolo, fatta di fede in Dio e accoglienza (tanto da essere stata premiata dal Consiglio d’Europa): «Abbiamo cominciato a fare spazio, a condividere la tavola con degli estranei, e questo ci ha resi più ricchi, ci ha dato una libertà di cui non potremmo più fare a meno». Momenti difficili ce ne sono stati tanti, inutile nasconderlo, eppure mai dovuti a tensioni all’interno della casa, dove la vita scorre in spazi stretti ma mai sacrificati. E gli stessi vicini, inizialmente dubbiosi, si sono sciolti quando i nuovi figli di Calò si sono rivelati alla comunità con la loro vivacità generosa, disponibili ad aiutare in ogni occasione, al punto che le donne del paese portavano loro cibo e abiti, graditissimi doni e segnali distensivi dopo mesi fatti prevalentemente di domande.

Le testimonianze

Il libro strappa sorrisi, fra torte preferite e caccia ai polli, e qualche brivido di terrore quando i ragazzi parlano delle torture subite in Libia e mostrano sui loro corpi le cicatrici delle frustate. Nicoletta si commuove: «Hanno dimostrato, in ogni occasione, una positività e una fede incredibili, “c’è un Dio dei poveri che pensa a noi, mamma”, mi dicono». Ora i profughi arrivati dal mare lavorano tutti, due hanno ottenuto la protezione umanitaria, per gli altri quattro le pratiche sono in corso: sono ben integrati nella comunità trevigiana, ne rispettano le regole e la cultura, chiedono solo di poter guardare al loro futuro come tutti i coetanei carichi di sogni e aspettative. Mamma e papà Calò da dicembre 2017 vivono a Santa Maria del Sile, nella canonica accanto alla chiesa, e la casa di Povegliano è abitata dai soli ragazzi, quei dieci fratelli così diversi e così affiatati, dividendosi i lavori domestici, indipendenti e autonomi.

Il messaggio

Parla di ognuno di loro il libro di mamma Nicoletta: la presentazione sarà venerdì a Rovereto (Trento), e poi a seguire il 13 marzo a Bolzano, il 22 a Maserada (Treviso) e il 25 a Mestre. Il messaggio che vuole trasmettere è semplice e non ha bisogno di giri di parole: «Non bisogna avere paura del diverso, non dobbiamo cambiarlo ma conoscerlo e imparare a vivere insieme, perché la gioia è nella condivisione. Quello che ci frena è solo la chiusura. Questi ragazzi sono una benedizione per una società asfittica e implosiva come la nostra, un’iniezione di vitalità, forza e coraggio che abbiamo dimenticato, una carica di valori e umanità».

di Silvia Madiotto

https://corrieredelveneto.corriere.it/treviso/cronaca/19_febbraio_27/i-6-figli-profughi-nicolettasono-un-iniezione-forza-045cc9c4-3a00-11e9-a109-5f224938aae1.shtml