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afganistan100AFGHANISTAN, DOVE LA GUERRA È GIÀ FINITA
In una valle tra le montagne a nord di Kabul, dopo aver capito l'inutilità della guerra, talebani e forze governative mantengono da due anni un patto di non belligeranza. Un modello per tutto il paese?
Il distretto di Alasay, nella provincia di Kapisa, situata a nordest di Kabul, è la cornice di un accordo inusuale: l'ufficiale governo locale chiude un occhio nei confronti dei talebani, e viceversa.
Dopo aver concluso che nessuno dei due può sconfiggere l'altro, hanno deciso di coesistere pacificamente, nella misura in cui le condizioni lo permettono.
La guerilla talebana e la polizia ufficiale, entrambi armati, circolano nel bazar del capoluogo distrettuale, senza preoccuparsi l'uno della presenza dell'altro. Si dice che partecipino anche ai rispettivi matrimoni e funerali.
Per facilitare le relazioni e rimuovere qualsiasi ombra di imbarazzo, si è deciso che i ribelli possono dedicarsi alle loro spese durante la mattinata, mentre le forze di sicurezza lo possono fare nel pomeriggio.
"E' molto meglio in questo modo", dichiara all' Iwpr Reza, porpietario di un banco al mercato. "Prima eravamo terrorizzati all'idea delle sparatorie. Il fatto che vegano qui in momenti diversi della giornata è un'ottima soluzione".
Un poliziotto locale, che ha deciso di rimanere anonimo, fa il pendolare, ogni giorno, tra il capoluogo del distretto e il suo villaggio, controllato interamente dai talebani. Questi ultimi non lo hanno mai ostacolato, nonostante l'equipaggiamento e le armi di cui è dotato.
"Mi imbatto spesso nei talebani durante il tragitto, ci salutiamo. Talvolta capita anche di scherzare sul nostro lavoro. Dato che siamo tutte persone del luogo, non ci infastidiamo a vicenda: abbiamo un accordo tacito".
Mirzaman Mangarai, il capo della polizia del distretto di Alasay, dichiara che il patto di non belligeranza è il risultato della consapevolezza che nessuno dei due è in grado di prevalere sull'altro.
"Comando venti soldati e venti agenti di polizia", dichiara, "vogliamo far osservare la legge, ma non abbiamo i mezzi per farlo. Allo stesso modo, i talebani non sono in grado di spodestarci. In realtà nessuno vuole l'altro tra i piedi, dato che rappresentiamo due sistemi agli antipodi".
Il patto è mantenuto dal costante lavoro dei leader ufficiosi ad Alasay, una valle tra le montagne, in cui gli anziani delle comunità locali stipularono, due anni fa, un accordo con i ribelli. Questa situazione è rimasta pressoché invariata.
Dal momento che gli anziani influenzano anche la nomina dei vertici amministrativi del distretto e del capo della polizia, anche i leader hanno aderito al patto di non aggressione.
Il capo del governo locale, Mullah Mohammad, ha dichiarato che l'accordo era stato siglato soltanto oralmente, e per questo ritenuto informale. Ha inoltre ammesso che il suo mandato è orientato nella stessa direzione della politica del governo centrale, politica di incoraggiamento alla resa dei ribelli.
"I membri armati dell'opposizione stanno a qualche metro di distanza dal mercato di Alasay, sebbene vi si rechino di tanto in tanto per qualche acquisto. Non ci combattiamo", dice. "Assieme agli anziani della tribu e agli organismi di Pace ci stiamo sforzando di persuadere i guerriglieri a deporre le armi e riconoscere il governo".
Gli altri intervistati appaiono meno convinti di poter sconfiggere i talebani, ecco perché salutano con favore la tendenza pattiziamente affermatasi del "vivi e lascia vivere" sganciata dalle influenze politiche esterne.
"Abbiamo ucciso nel nome della polizia, delle esercito e dei talebani, solo perché siamo stati convinti a farlo da altri", racconta un capo villaggio che desidera rimanere anonimo. "Se un poliziotto, un soldato o un talebano viene ucciso, tutti in Afghanistan ne soffrono. Noi, gli anziani del distretto di Alasay, abbiamo preso una decisione che oggi permette agli abitanti di questa area di vivere in pace".
Il capo villaggio ritiene che i talebani non uccideranno membri dell'esecito nazionale o della polizia a meno che le forze di sicurezza non vengano impiegate dalle truppe internazionali per lanciare un'offensiva nei loro confronti.
L'Isaf ha insediato ai margini del distretto basi e avamposti, costruendo una "linea di consolidazione" sulle montagne, e ha condotto svariate operazioni per sradicare i ribelli dall'area di Alasay, senza tuttavia riuscire ad ottenere il controllo della zona.
"Il motivo dei conflitti presenti e passati che hanno sconvolto l'Afghanistan - dice all'Iwpr un sodlato governativo - risiede nelle mire di altri Paesi. Anche i talebani sono nostri fratelli. Hanno richieste precise, e dovrebbero essere ascoltati. Non sono dei pazzi: stanno combattendo per una causa".
Aggiunge: "Spero che i talebani e il governo raggiungano presto un accordo simile a questo in tutto il territorio, così da isolare i veri nemici del Paese".
Un ufficiale talebano, che preferisce rimanere anonimo, afferma che, mentre la guerra contro le forze straniere continuerà fino al giorno in cui queste non saranno cacciate dall'Afghanistan, la tregua di Alasay verrà osservata fintantoché non verranno attaccati.
"Abbiamo deciso di non combattere le forze governative per le origini che ci uniscono, per il rispetto nei confronti degli anziani delle tribù e nei confronti dell'Islam, nondimeno perché siamo tutti afghani e musulmani. Ma se ci attaccano su ordine degli stranieri, ci difenderemo e li uccideremo".
Al pari di intervistati appartenenti al governo, il capo talebano distingue nettamente tra politica nazionale e locale: "Il fatto che abbiamo accettato l'accordo non significa che accettiamo il corrotto sistema nazionale o gli assassini internazionali. Tutto ciò che significa è che noi talebani non vogliomo uccidere i nostro fratelli afghani".
Per gli analisti politici e militari, la tregiua di Alasay costituisce un enigma: modello per costruire la pace o semplice stallo senza ulteriori implicazioni?
Il generale in pensione Hai Sulaimankhel è inflessibile nell'affermare che il patto rappresenti il fallimento della politica del governo. "La situazione riflette la debolezza dello Stato nell'affermare la primazia della legge. La realtà è che ad Alasay esistono due governi, e ciò è un gran risultato per l'opposizione".
Aggiunge inoltre che i Talebani hanno aderito al patto per puro opportunismo, e ciò sicuramente non impedisce loro di iniziare un'offensiva, se lo ritengono conveniente".
Un altro analista, Abdul Ghafur Liwal, che dirige l'Afghanistan Regional Studies Centre, afferma invece che qualsiasi patto che fermi lo spargimento di sangue debba essere considerato un risultato importante.
"Quando le armi tacciono, entra in gioco il raziocinio - dice Liwal - e sono sicuro che questo accordo, seppur informale, sia adatto a essere esteso ad altre aree, per far capire che la guerra non è una soluzione".
Contrariamente al generale Sulaimankhel, Liwal sostiene che una tregua prolungata rappresenta un vantaggio per il governo, perché gli permette di portare avanti indisturbato il suo lavoro di ricostruzione.
Maiwand Safi*
* Giornalista afgano dell'Institute for War and Peace Reporting (Iwpr)
Traduzione a cura di Francesca Maso
31 marzo 2011 http://it.peacereporter.net/articolo/27706/Afghanistan%2C+dove+la+guerra+%26egrave%3B+gi%26agrave%3B+finita