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muertosmisurataMISURATA, QUANTE VITTIME PER LE BOMBE DEL MISTERO
Il regime di Gheddafi nega, ma le ferite sono quelle tipiche delle cluster bomb. Il medico: “Non ho mai visto nulla del genere. Hanno colpito anche una clinica”
MIMMO CÁNDITOMISURATA
Addestratori dall’Italia. ll capo del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) libico, Mustafa Abdel Jalil ha sostenuto che Roma e Parigi «hanno detto sì all’invio di addestratori sul campo»
Niente armi proibite. Il portavoce del governo libico di Tripoli Ibrahim Moussa ha negato l’uso di bombe a grappolo come accusano gli insorti
Cronaca di una giornata di guerra, a Misurata, dopo 60 giorni di assedio.
Ore 7.00. La notte è stata terribile, angosciosa, fino alle 2.50 del mattino. Poi le cannonate hanno taciuto; forse erano tutti stanchi. Abbiamo dormito.
Ore 9.21. La pancia è aperta che pare dal macellaio. Due buchi tondi, grossi ciascuno come una palla, fanno scorgere pezzi di carne che pulsa ed erutta sangue. Nel tendone bianco montato nel cortile di questo congestionato ospedale di Misurata, medici e infermieri si muovono freneticamente attorno a quell’uomo, giovane, una gran barba nera, gli occhi chiusi dall’incoscienza. Impossibile farsene dire il nome, e poi a che serve; in guerra si muore e il resto conta poco. Forse lui morirà comunque, poveraccio, la frenesia dei medici che gli stanno addosso non pare lasciare speranze, ma sapere come sia stato ferito, questo sì che conta, perché dall’altro ieri si dice che per piegare la resistenza di questa città gli uomini di Gheddafi avrebbero cominciato a usare anche le cluster-bomb, proibite dalle convenzioni internazionali. Lo avevamo raccontato già ieri, perché alcune delle esplosioni che si sentono nell’aria non suonavano come i colpi dei missili o le cannonate dei tank: c’era l’esplosione più forte, propria del rimbombo del mortaio, e però subito, a seguire, una raffica rapida di altre esplosioni, meno forti anche se intense.
Ore 9.37. Il chirurgo che si prepara a operare comunque il ferito del tendone non vuole confermare la domanda che gli faccio. «No, non lo so se sia stata una cluster, non ne ho certezza; ma devo ammettere che mai avevo visto questo tipo di ferita, così vasta e con margini così netti, che nessuna scheggia potrebbe produrre». Da Tripoli, il portavoce del regime ha respinto con indignazione l’uso di queste bombe, «Mai le useremmo contro gente del nostro stesso Paese»; però, tenendo conto della ferocia indiscriminata con la quale Gheddafi ha difeso per 42 anni il suo regime, questa indignazione di Ibrahim Moussa non pare sostenuta da credibilità.
Ore 9.51. Accanto al ferito c'è anche un team italiano di Emergency, arrivato qui via Malta da una settimana. Sono 3 medici (Paolo Grosso, Alberto Landini, Antonio Rainoine), 3 infermieri (Marina Castellano, Dimitra Jannacopulou, greca, e Michele Trolese) e il logista Antonio Molinari. Loro, che sono gli esperti della chirurgia di guerra non modificano il giudizio del colega: «Non abbiamo altri elementi per confermare o smentire».
Ore 12. Torno a Tripoli Street. Botti e spari dovunque. Due fotoreporter sembrano impazziti, scattano a ripetizione anche se a me sembrano i fotogrammi di sempre. Però queste c'è da giurare che siano davvero clusterbomb. Le esplosioni fanno torcere lo stomaco a lungo, sono esplosioni a ripetizione. Tante, molte.
Ore 17. Corro verso il tendone. Hanno catturato un soldato di Gheddafi, c'è molta confusione, anche rabbia, ma contenuta. «È un cecchino, un assassino di Gheddafi», dice un dottore, ma pare un annuncio più che un’accusa. È un giovanotto in divisa, calvo, una gran barba nera; gli tagliano il pantalone; ha una ferita lunga al ginocchio, e gli occhi sgranati di paura. Guarda tutto con uno sguardo angoscioso, lui capisce il gran parlare che gli piove addosso, e sa. Non parla, non risponde alle mie domande. Lo hanno catturato a Zaweyia, tre chilometri da Tripoli Street.
Ore 17.30. Nel tendone è morto un bambino, lo avevano appena portato con un’ambulanza dalla zona di Tripoli Street. Il corpicino non passa ancora nel corridoio di questa panca, si sente solo l’urlo straziante, continuo, che non ha mai fine, della mamma.
Ore 18.50. L'altoparlante chiama d'urgenza i nomi di alcuni dottori. Si sentono le ambulanze con le sirene nell'aria. Torna il dottor Khalid, questa volta spingendo forte, di corsa, le sue ruote. Quasi piange. «Hanno bombardato proprio ora la clinica di Zawyia, i pazienti, i miei colleghi. Ma quando finirà?».
Ore 20. Impossibile continuare, bisogna spedire per internet sperando che funzioni. Comincia la notte. Non ho potuto contare le cannonate e i missili di oggi, ma le esplosioni hanno accompagnato ogni momento di vita e di morte. Chissà quante erano.
LA STAMPA 17 APRILE 2011