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ASSAD MANDA I CARRI ARMATI A DARAA
Almeno 25 morti, l’esercito usa mitragliatrici e mortai. Gli attivisti: “Ci sono cadaveri per le strade” BEIRUT
La rivolta I militari sono intervenuti con i blindati anche in altre città siriane e in diversi sobborghi di Damasco
Gli Stati Uniti stanno valutando diverse possibili opzioni, comprese sanzioni mirate Tommy Vietor portavoce della Casa Bianca
Il presidente siriano Bashar al-Assad sopporta poco la vista del sangue, tanto che in un ritratto fotogiornalistico dedicato a sua moglie Asma il mese scorso da Vogue, affermava di essersi dedicato agli studi di oftalmologia perché «c’è pochissimo sangue». Invece, secondo gli attivisti e testimoni oculari, ne è stato versato moltissimo anche ieri, in particolare a Daraa, capoluogo della regione al confine con la Giordania. Dai racconti dei residenti, protetti da carri armati e mezzi blindati oltre 5000 militari sono penetrati poco prima dell’alba in diversi centri abitati nel tentativo di riprendere il controllo di una delle roccaforti delle proteste.
Dopo che le autorità di Damasco hanno espulso dal Paese i reporter stranieri, nessun giornalista o fotografo può di fatto esser testimone di quanto sta avvenendo nel Sud della Siria, nei sobborghi di Damasco e nelle città costiere del Nord-Ovest, teatro delle manifestazioni senza precedenti contro il regime al potere da quasi mezzo secolo e da 40 anni impersonificato negli Assad e nei clan alawiti a loro alleati. Alcune fonti parlano di 18 morti, altre di almeno 25, altre ancora riferiscono di «decine di uccisi» soltanto a Daraa, dove - raccontano i residenti che riescono a parlare telefonicamente attraverso le linee cellulari della vicina Giordania - l’esercito avrebbe sparato con mitragliatrici di grosso calibro e fatto uso di mortai. «Fornire numeri precisi di vittime è impossibile», ha detto Wissam Tarif, attivista per i diritti umani, «ma è certo che il regime non si sta facendo scrupoli nel massacrare la propria gente». Testimoni hanno raccontato alle tv panarabe - tacciate da Damasco di agire in favore del «complotto straniero» - dell’uccisione di cinque civili mentre tentavano la fuga a bordo di un’auto e di aver visto sparare dai tetti alcuni cecchini. «Alcuni corpi senza vita sono ancora in strada». Ieri il presidente americano Barack Obama e il premier turco Recep Tayyp Erdogan hanno parlato al telefono esprimendo «profonda preoccupazione per l’inaccettabile uso della violenza da parte del governo siriano contro la popolazione civile».
Una fonte governativa citata ieri dalla tv di Stato ha invece assicurato che le operazioni sono state decise per evitare che a Daraa venisse creato un «emirato islamico comandato da un emiro salafita». Dalla vicina Giordania, già accusata di consentire l’infiltrazione di «salafiti» verso l’Hawran, le autorità hanno affermato che il valico di frontiera è stato di fatto chiuso da Damasco, cheperò ha smentito. E mentre nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu circolava da ieri sera una bozza di risoluzione di condanna delle violenze, gli Stati Uniti hanno detto di voler valutare «una gamma di possibili opzioni, comprese sanzioni mirate» contro «esponenti del governo siriano».
Le prime notizie dell’attacco a Daraa erano arrivate alle sei del mattino, mentre da domenica sera e per tutta la notte erano giunti gli aggiornamenti del bilancio degli uccisi (13 in tutto) nel giorno di Pasqua a Jabla, porto a Nord-Ovest di Damasco, dove le forze di sicurezza avrebbero sparato domenica sui dimostranti Secondo gli attivisti, l’esercito è penetrato ieri anche in Enkhel, Nawa, Jassem e Izraa, teatro sabato scorso dell’uccisione di decine di persone che intendevano partecipare ai funerali dei «martiri» caduti venerdì, giorno in cui le forze di sicurezza avrebbero sparato a morte su oltre cento manifestanti. In Siria dall’inizio della repressione avrebbero perso la vita circa 400 persone.
L’esercito sarebbe intervenuto ieri in massa anche nei sobborghi satelliti di Damasco. I residenti riferiscono di esser di fatto bloccati nelle loro case, senza telefono ed elettricità, perché «pattuglie di soldati presidiano gli ingressi di ogni via». In un documento, firmato da un centinaio di intellettuali siriani, si denunciano «le violente e oppressive pratiche del regime contro manifestanti e partecipanti dei funerali dei martiri della sollevazione».
LORENZO TROMBETTA
LA STAMPA 26 APRILE 2011