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FUSIONE FREDDA, SECONDO STRIKE DUE ITALIANI: “CI SIAMO RIUSCITI”
Ventidue anni dopo l’annuncio-bufala di Fleischmann e Pons
SERIE DI TEST A BOLOGNA LUIGI GRASSIA
È una notizia da prendere con le molle, perché 22 anni fa la «fusione fredda» si rivelò una balla spaziale, e adesso il sistema dei mass media si mostra, a sua volta, un po’ freddino di fronte a un nuovo esperimento che vanta pieno successo. Ma intanto all’Università di Bologna l’ingegner Andrea Rossi e il fisico Sergio Focardi dicono di essere riusciti a generare energia con un procedimento di fusione fredda tutto nuovo, brevettato e già pronto a passare alla fase operativa, addirittura fin dal prossimo autunno. I due italiani hanno pubblicato i loro risultati nel Journal of Nuclear Physics. Rossi e Focardi immettono nel sistema un chilowattora di energia e ne ricavano 200, il tutto operando a temperature paragonabili a quelle delle uova fritte in padella anziché all’esplosione di una bomba H. Se tutto funziona davvero, è un fatto straordinario, destinato a cambiare il panorama dell’energia mondiale, eppure i giornali e le tv finora ne hanno trattato ben poco, forse anche perché la necessità di proteggere i segreti brevettati ha creato un alone di mistero e limitato la diffusione delle informazioni, ma lo scetticismo deriva soprattutto dalla falsa partenza del 1989.
La prima volta assoluta della fusione fredda fu negli Stati Uniti, università dello Utah, protagonisti Martin Fleischmann e Stanley Pons: era il 1989, quando due professori di chimica annunciarono di aver replicato in laboratorio il procedimento di fusione nucleare, quello che genera energia all’interno del Sole. Spiegarono di averlo fatto in modo controllato e a bassa temperatura; da qui il nome di fusione fredda. Fredda in senso relativo (qualche centinaio di gradi appena) e in quanto tale teoricamente utilizzabile anche per ricavare energia in una centrale elettrica.
Operare a basse temperature consente di manipolare i combustibili e gli strumenti in modo sicuro ed economico. Ma la fusione fredda non è facile da ottenere e, infatti, a una più attenta verifica da parte della comunità scientifica internazionale risultò che Fleischmann e Pons non erano sulla strada giusta; avevano sì ottenuto un po’ di energia, ma in quantità trascurabile. Dopo di allora il filone di ricerca non si è esaurito. Un comitato internazionale diretto dal Premio Nobel italiano Carlo Rubbia è arrivato a una conclusione piuttosto severa: la fusione fredda di per sé è interessante e promette risultati, però bisogna essere molto rigorosi nella misurazione delle energie in entrata e in uscita (che alla fine è l’unico vero criterio di valutazione del successo). Da evitare come la peste la faciloneria in cui incorsero Fleischmann e Pons e in cui sono incappati, a ripetizione, anche altri team internazionali, negli anni dal 1989 in poi, nel fare annunci avventati su presunti successi nella fusione fredda, sempre sfociati in delusioni.
Un ventennio abbondante Che cos’ha di diverso il nuovo esperimento bolognese di Rossi e Focardi dalle svariate bufale «fredde» che si sono succedute in un ventennio abbondante? Spiega Focardi: «Gli altri ricercatori hanno mirato al risultato con l’elettrolisi, usando per lo più il palladio o il deuterio. Noi invece fondiamo nuclei di nichel e di idrogeno, ottenendo del rame e liberando energia utilizzabile».
Un po’ più in dettaglio, il rame contenuto in un tubo metallico viene inizialmente riscaldato con l’immissione di energia, che però diventa superflua non appena la fusione è partita; da quel momento il processo si alimenta da sé, anzi emette energia a sua volta. L’idrogeno viene iniettato a forte pressione nel tubo e alcuni nuclei di idrogeno (che poi altro non sono che protoni) vengono catturati dai nuclei di nichel; ne segue la trasformazione dell’atomo di nichel nell’elemento che ha un protone in più nella tavola periodica, cioè il rame.
«L’energia così liberata - spiega ancora Focardi - può essere usata come si fa con il carbone, con il metano eccetera, per scaldare dell’acqua, e il vapore ottenuto può far girare delle turbine». E il gioco è fatto. Andrea Rossi, che detiene il brevetto, sta già realizzando in America una mini-centrale elettrica della potenza di un MegaWatt. Niente vieta in futuro di arrivare ai 1600 MW di un grande impianto nucleare.
Processo pulito Ma la fusione fredda è pulita? Focardi assicura di sì: «Il fatto notevole è che non viene rilasciato neanche un neutrone. La radioattività che viene emessa è in forma di raggi gamma e si può facilmente schermare con lastre di piombo. Comunque è pochissima, pari a 1,5 volte quella naturale». Il procedimento non produce alcuna scoria di quelle che fanno ticchettare i contatori Geiger.
Troppo bello per essere vero? Può darsi che sia questo elemento psicologico, più ancora che le delusioni degli annunci passati, a frenare i troppo facili entusiasmi. Eppure Rossi e Focardi hanno già fatto molte dimostrazioni con gruppi scientifici, che hanno portato i loro strumenti di misurazione e hanno certificato la produzione di energia; fra questi l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e la svedese università di Uppsala. Allora potremo fare a meno delle centrali nucleari, del gas russo, del carbone inquinantissimo eccetera, per produrre tutta l’elettricità che ci serve in modo economico e pulito? Di nuovo: è troppo bello per essere vero?
LA STAMPA 11 MARZO 2011