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MEDVEDEV E OBAMA TAGLIANO LE ARMI NUCLEARI

Nuovo patto strategico firmato al Cremlino. Gli Usa sospendono le scelte sullo scudo spaziale
DAL NOSTRO INVIATO
MOSCA — Tra gli ori lucci canti della Sala di Sant’Andrea al Cremlino, dove gli zar decoravano gli eroi russi, Barack Obama e Dmitrij Medvedev ri mettono in scena il repertorio delle superpotenze. I presidenti di Stati Uniti e Russia rilanciano la distensione, firman do un’intesa preliminare per ridurre al più basso livello di sempre i rispettivi arsenali nu cleari strategici. Di più, con una serie di accordi di cooperazione sulla sicurezza, la lotta al terrorismo, l’Afghanistan e l’Iran, i due leader della nuova generazione mostrano la concreta volontà di «mettersi alle spalle i sospetti e le rivali tà » del recente passato, «dando l’esempio» e «indicando la strada» alla comunità internazionale.
Per un giorno, la capitale russa rivive in un flash-back l’eccitazione di quando i vertici Usa-Urss decidevano le sor ti del mondo. Non sarà più l’Unione sovietica, ma ogni equazione strategica passa ancora per Mosca. E Obama ne prende atto, offrendo a Medvedev un dialogo paritario su tutte le questioni centrali, ma senza cedere nulla sulla so stanza delle posizioni america ne.
Il vero successo della gior nata è l’accordo-quadro sulle armi strategiche, il più significativo dalla fine della Guerra fredda. Sostituirà il trattato «Start I» del 1991 che scade al la fine dell’anno e che, insie me al trattato di Mosca del 2002, impone a entrambi i Paesi un tetto di testate nucleari. Ora, i negoziatori hanno man dato di trovare un punto d’in tesa all’interno di due forbici: da 500 a 1.100 per i missili, da 1.500 a 1.675 per le testate.
L’asimmetria è inevitabile, visto che gli americani hanno un minor numero di cariche installate su un maggior nu mero di missili, i russi all’op posto dispongono di più testa te su una quantità inferiore di vettori.
Ai nuovi limiti si dovrà scendere entro 7 anni, mentre un più sofisticato sistema di verifiche prenderà il posto di quello che cessa di esistere in dicembre. «È un primo, importante passo per migliorare la piena cooperazione tra di noi», ha detto Medvedev, raggiante per quello che è il suo primo successo internazionale da quando è al Cremlino e così di buon umore da sorride re facondo, quando Barack Obama ha avuto un piccolo lapsus definendo presidente Vladimir Putin, il predecessore e, secondo alcuni, il suo burattinaio.
Non c’è convergenza su tutto ovviamente, come testimonia l’onesta ammissione di disaccordo sullo scudo missilistico. Ma anche qui, per la prima volta Washington incassa in una dichiarazione separata il riconoscimento di un linkage, una connessione stretta tra sistemi strategici offensivi e difensivi. Detto altrimenti, il no di Mosca al radar e agli intercettori da installare in Polo nia e Repubblica Ceca rimane. Ma ora anche il Cremlino riconosce la minaccia comune, rappresentata dalla proliferazione dei missili balistici, leggi Corea del Nord e Iran. E accetta di cooperare nella ricerca delle giuste risposte.
L’amministrazione da parte sua fa un gesto rilassante, rinviando ogni decisione finale sul sistema che tanto innervo sisce Mosca a dopo la fine del la revisione in corso sulla sua fattibilità e convenienza.
«Attenzione — avverte Mi chael McFaul, il consigliere di Obama sulla Russia — non stiamo discutendo di limitare le difese antimissile in Europa, ma di migliorarle. Il pericolo dall’Iran è reale. Noi crediamo sia possibile fronteggiar lo, rafforzando contemporaneamente la sicurezza nostra, dei nostri alleati e dei russi».
Se il nuovo patto strategico offre una misura del ritrovato status da superpotenza, il segnale più spettacolare di un nuovo inizio nei rapporti tra Mosca e Washington è quello dato sull’Afghanistan: il Cremlino dà il segnale verde al passaggio sul suo territorio e nel suo spazio aereo di truppe e forniture militari per la missione americana. Barack Obama lo ha definito «un contributo sostanziale allo sforzo internazionale contro il terrorismo, che risparmierà tempo e risorse alle nostre truppe». E in realtà, il permesso di Mosca significa che nell’arco di un anno l’esercito Usa non dovrà pagare ai russi 133 milioni di dollari in diritti di transito aereo.
Riprenderà anche la cooperazione militare, interrotta dopo la crisi della Georgia, dove pure le distanze rimangono: un esempio per tutti, reparti speciali dei due Paesi faranno esercitazioni comuni contro i dirottamenti aerei.
La gaffe
Il leader statunitense ha definito «presidente» Putin, predecessore di Medvedev e attuale premier Il via libera
Mosca dà il segnale verde al passaggio sul suo territorio e nel suo spazio aereo di truppe e forniture militari per l’Afghanistan.
Paolo Valentino
Il corriere della sera 7 luglio 2009