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ninos_burkinaBURKINA FASO. RAGAZZINE COSTRETTE A PROSTITUIRSI PER UN EURO E “CONSIGLIATE” AI TURISTI
Ouagadougou (Burkina Faso) - “Le  Grotto” non è un bordello per bianchi. Per raggiungerlo bisogna viaggiare più di 40 minuti sugli sterrati di Silmande, uno dei quartieri in espansione di Ouagadougou, che nelle prime ombre del tramonto appare come una terra di nessuno occupata da cantieri, discariche e baracche che vendono birra. “Qui – dice Suleyman, l'uomo che mi accompagna – una minorenne vale 1.000 franchi locali (un euro e mezzo) e ce ne sono di giovanissime addirittura di 12 o 13 anni”.
"Le Grotto", è un maquis , uno dei bar-discoteca che in Burkina Faso funzionano come anticamera delle chambres de passe, le camere dove le ragazze si prostituiscono.  
ENTRIAMO in un quadrilatero di muri appena intonacati. Circondano una pista da ballo di mattonelle colorate coperta da un tetto di tolla appoggiato su pali sbilenchi. Sulle pareti una serie di "affreschi" rudimentali, rappresentano delle sirene. C'è uno specchio e una ragazza, che contempla una bellezza, mi saluta in francese. Tutto quello   che vedo, dalle pareti alla pista alle sedie di ferro, è contaminato dalla polvere rossa delle strade africane.
Un cameriere-buttafuori mima colpi di karate contro un pilastro. Altri, seduti a un bar, mi osservano ascoltando la radio che annuncia il colpo di Stato in Costa d'Avorio. Ci vivono 4 milioni di burkinabè e quel che accade ad Abidjan qui viene vissuto come una tragedia domestica.
A un tratto la voce dello speaker viene coperta dal rumore delle sedie di ferro che un ragazzo raccoglie intorno a un tavolo. Le prostitute arrivano con l'aria annoiata di chi deve vedere quel posto tutti i giorni. Emergono lentamente dal buio delle baracche che circondano il maquis. Una è incinta, due arrivano allattando   quelli che qui chiamano “i figli del lavoro”. Il tavolo si riempie di bottiglie di birra.
Una ragazza in minigonna si siede sulle mie ginocchia, poi afferra una bottiglia e la stappa con i denti. Quasi tutte parlano francese tranne due che sono nigeriane e parlano inglese. “Quanto quadagnano?”, chiedo. “Possono arrivare a 5.000 franchi in un giorno”, dice Suleyman 5.000 franchi locali corrispondono a poco più di 7 euro, ma una ragazza lo corregge immediatamente: “Non è proprio così; possiamo guadagnare 5.000 franchi, ma questo accade solo nel weekend e, comunque, tu guadagni 5.000 franchi ma devi anche pagare la stanza. Se ne vanno 3.000 franchi, te ne restano 2.000, ma spesso arrivano dei clienti che ti usano e poi non ti pagano o addirittura ti rapinano. Così, per lavorare tranquille, dobbiamo pagarci un guardien, un protettore e se ne vanno altri 1.000 franchi. Restano 3.000 franchi che bastano appena   per pagarsi da mangiare gli altri giorni della settimana”.
Sei magnaccia ci osservano per un po’ a pochi passi di distanza poi si disinteressano di noi. Probabilmente sono il primo bianco che vedono entrare a “Le Grotto”. Alle due ragazze che allattano chiedo: “Come fate con i   bambini?”. Rispondono: "Paghiamo una vecchia che si occupa di loro mentre lavoriamo".
QUANDO un paese è povero come il Burkina Faso facilmente i corpi dei suoi abitanti diventano merce: braccia di uomini da sfiancare nelle miniere d'oro dello Yayenga o fianchi di donne da offrire ai clienti occasionali nei maquis come “Le Grotto”, un fenomeno talmente diffuso da essere menzionato anche nelle guide turistiche. Le prostitute sono tutte molto giovani. Alcune hanno iniziato questo mestiere perché, arrivate in città dalla campagna, non ne trovavano altri. Ma la maggior parte è finita sulla strada dopo aver lasciato famiglie in cui venivano maltrattate. “Io vengo dal Togo” racconta una di loro ”sono venuta qui per guadagnar qualcosa ma se non ho un lavoro come faccio? E se non hai i genitori accanto a te per aiutarti a mangiare, cosa fai? Se non hai un buon lavoro e nessuno ti dà nulla sei   obbligata a venire qui a prostituirti”. Quando chiedo chi vorrebbe smettere, alzano tutte la mano. “Anche tra 10 minuti”, risponde una. Suleyman Nana, l'uomo che mi accompagna, conosce bene le chambres de passe di Ouagadougou perché ha strappato al marciapiede dozzine di ragazze. Gli chiedo: “Ma come mai i protettori ti lasciano lavorare?”. Risponde: “Non sempre. Un protettore una sera mi ha detto ‘se non te ne vai ti sbudello e quel che ti accadrà l’hai voluto tu’”. Sono uscito ma non me ne sono andato. Sono rimasto lì davanti alla porta e gli ho detto: ‘Ascolta, son venuto per farti capire che questa ragazzina non può dormire qui e se tu non accetti un accordo con le buone ripasserò in un altro modo’. Lui ha avuto paura e alla fine ha ceduto”.  
Chiedo: “Se il protettore non cedeva cosa avresti fatto?”.
Suleyman: “Avrei chiamato la polizia, non avrei mai lasciato una ragazzina senza assisterla nel pericolo. Era una ragazzina di 15 anni, sequestrata da mesi. Se me ne fossi andato zitto zitto, perché avevo paura, sarebbe stata una specie di omissione di soccorso verso una persona in pericolo”.
A Ouagadougou, Suleyman ha creato una struttura protetta dove le ragazze di strada hanno la possibilità di imparare un mestiere e tentare di ricostruirsi una vita normale. Si chiama “Anpo Mia” e lavora in rete con le volontarie italiane di Aidos. È una di loro, Clara Caldera, che ci fa incontrare Samira (17 anni) Clara: ”Quando uscivi cosa facevi ?”.  
Samira: “Uscivo con dei ragazzi e dormivo là...”.
Clara: “Dormivi con i ragazzi?”. Samira: “Sì...”.
Clara: “Per i soldi?”.
Samira: “No, no...”.
Samira si difende dalle domande e risponde a monosillabi ed è Pauline Ilbondo, una delle attiviste di “Ampo Mia” a ricostruire la sua storia: “Quando Samira usciva, rientrava a casa dopo 3 o 4 giorni e quando i suoi le dicevano di non uscire più, il giorno dopo lei era di nuovo fuori, così sua madre passava la giornata a cercarla da un cortile all’altro, con i vicini che le dicevano ‘hei, ho visto tua figlia Samira con dei ragazzi e quella sua amica’, e ogni volta sua madre si metteva a piangere”.  
Clara: “La tua amica ti diceva di dormire con i ragazzi?”. Samira: “Sì”. Clara: “E anche lei lo faceva?”. Samira: “Sì”. Clara: “E lei si faceva pagare? Le davi dei soldi?”. Samira: “Sì”. “Più spesso - spiega Pauline   degli amici maschi, e quando la notte uscivano con questi ragazzi le facevano entrare nelle chambres de passe, nei postriboli, ed erano questi ragazzi che incassavano”. A poco a poco, incalzato dalle domande di Clara, il racconto di Samira diventa un incubo: “Un giorno, le amiche del mio gruppo mi hanno lasciata da sola con i ragazzi e quelli volevano possedermi e siccome io rifiutavo uno di loro ha estratto un coltello   e mi ha detto ‘se resisti ti uccidiamo’”. Clara: “Prendevi delle precauzioni?”. Samira: “Sì, usavo dei condom”. Clara: “E non sei mai rimasta incinta?”. Samira: “Sì, ma l'ho perso”. Clara: “Volontariamente o si trattava di un aborto? Sei tu che l’hai provocato o il ragazzo ti ha spinto a farlo?”. Samira: “Avevo un ragazzo e sono rimasta incinta. Mia madre non lo sapeva e quando l’ha saputo mi ha detto ‘non voglio più vederti, in questa casa non c’è piu niente per te, perciò ho abortito’”.   Oggi Samira, grazie a un progetto di Aidos sostenuto da Mediafriends, sta imparando a fare la sarta ed è sicura di ottenere il perdono dei suoi genitori, ma reinserirla nel suo quartiere e farla accettare non sarà cosa facile. Sarà il compito di Clara e delle altre volontarie del “Centro per la salute delle donne” di Ouagadougou, che ha arruolato anche uno psicologo e un'avvocatessa. “Servono ad aiutare le donne che hanno problemi con il loro ambiente”, spiega Paola Cirillo.
Davanti all'avvocatessa siede una donna con la schiena tagliata da una vistosa cicatrice “L'ultima volta che il marito l'ha bastonata è svenuta - spiega Paola - poi, grazie a noi l'ha denunciato e adesso c'è un'inchiesta ma sino a poco tempo fa questa sarebbe rimasta una storia privata”.
di Mimmo Lombezzi
IL FATTO QUOTIDIANO 28 DICEMBRE 2010