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dilma_rouseff_01I LEADER DELL’AMERICA LATINA CHE IMBRACCIARONO IL FUCILE
L’America latina cambia faccia e i teologi del marxismo e della lotta armata cambiano mestiere. Quando (e se) Dilma Rousseff verrà incoronata a Brasilia, i presidenti delle Americhe scioglieranno l’applauso in prima fila.
In prima fila ci sarà anche José Pepe Mujica che governa l’Uruguay. Due vite parallele nel successo e nella clandestinità. Sono entrati in politica attraverso la guerriglia. Se Dilma non ha mai sparato, attorno alle imprese di Mujica resta il mistero che i tupamaros conservano nella loro storia agitata: pagine segrete.
Tra la dottrina Nixon e l’operazione Condor
ERANO GLI ANNI ’60 militari al potere e non solo nel cono sud. Le dottrine Nixon-Reagan e l’operazione Condor rubavano l’aria ai giovani intellettuali che imparavano la democrazia sui banchi delle università e provavano a cercarla nell’utopia delle lunghe marce cinesi. Diventano fantasmi: giornali e tv obbligati ad ignorarne le imprese e nel silenzio Dilma e Mujica finiscono in prigioni disumane, pozzi di tortura. Pepe attraversa la giovinezza nelle mani delle squadre della morte che ne allungano   l’agonia dopo aver deciso che mai sarebbe tornato in libertà. Era un ragazzo allampanato, diverso dal bon gros dei nostri giorni, laureato con tante speranze quando incontra Lucia Topolansky,compagnadistudi.Vogliono sposarsi di nascosto cometopid’appartamentomavengono divisi da un agguato e dalla prigione. Appena torna l’ombra della democrazia si ritrovano con la voglia di lottare in modo diverso. La nuova presidente del   Brasile (se sarà lei) abbraccerà il presidente e la prima dama dell’Uruguay senza troppe parole: sono sopravvissuti allo stesso passato, sanno che i discorsi contano poco. A Brasilia incontreranno anche un vecchio amico, José Dirceu, stratega del Pt di Lula, ministro della sua Casa Civil, insomma capo del governo. Uno scandalo gli ha rubato la poltronapassataaDilma.Adesso Lula lo rivuole nel posto abbandonato: deve essere l’ ombra dellasignorapresidente   .Dirceualle ombre è abituato. Arrestato dai militari brasiliani mentre organizzava gli studenti nella resistenza clandestina, torna libero in modo strano: l’ambasciatore Usa, Charles Burk Elbrick, rapito dai ragazzi delle guerriglie urbanevienescambiatoconunpo’di giovani “pericolosi”, e Dirceu esce di galera.
In esilio a Cuba per “rifarsi la faccia”
VIA DAL PAESE esilio all’Avana. Lezioni di guerriglia a Pinar del Rio, un chirurgo gli rifà la faccia e torna a casa con nome diversonelpassaportomessicano. Era il 1971, aveva 25 anni. Va nel Paranà, apre un negozio. Un annodopoallargagliaffarinellecittà vicine: sempre in viaggio, da Recife a Belo Horizonte: le sue scarpe, i suoi jeans e poi Paraguay, Argentina. Diventa il commesso viaggiatore della rivoluzione. Col nome falso sposa la proprietaria di tre boutiques, il primo figlio si chiama Juan Carlos.Prendemogliealtretrevolte, nascono altri tre figli, ma appena i militari abbandonano il potere ridiventa José Dirceu e sparisce dalle famiglie per disegnare assieme a Lula il partito della sinistra “lievito di una politica normale”. Daniel Ortega, maestro rurale, guida la vittoria dei sandinisti che in Nicaragua fanno scappare il dittatore Somoza.   Presidente negli anni ottanta di un paese pietrificato nel medioevo del latifondo, anima la solidarietà degli idealisti delle americhe e d’Europa. Marxista nel credo cubano, divide il governo con tre sacerdoti: D’Escoto, Ferdinando ed Ernesto Cardenal. Ma la pressione reganiana abolisce l’utopia: finanzia guerriglie controrivoluzionarie (contras) affidate alla regia di John Dimitri Negulesco che diventerà lo zar di tutti i servizi segreti Usa. Insomma, Daniel perde la presidenza e presidente diventa una signora “amerikana”, Violetta Chamorro. Ortega è paziente. 16 anni di attesa, piccoli e grandi passi verso la destra dei grandi proprietariscappatiaMiami.Abbraccia soprattutto il cardinale Obando y Bravo, avversario implacabile quand’era presidente. E nel 2006 torna presidente con un’altrafaccia.Nonsololeggibavaglio: perseguita i sacerdoti-ministri   che ne avevano accompagnato la rivoluzione.
L’età della ragione ha suggerito a Teodoro Petkoff il ritorno alla politica: stesse radici bulgare di Dilma, guerrigliero comunista in Venezuela sulle orme del Che. Addio alla la lotta armata dopo anni di travaglio. Come Dilma e Dirceu, laurea in Economia. Nella clandestinità aveva sfidato la dittatura del generale Peréz Jimenez. Tre volte arrestato, tre volte scappa da prigioni e ospedali militari, primula rossa irraggiungibile. Appena democristiani e socialisti cominciano a governare fonda il Mas, movimento socialista. Corre tre volte per diventare sindaco di Caracas o presidente del paese. Discorsi troppo seri, mai più del 4 per cento di gradimento. Appena l’ex presidente Dc, Caldera, lascia il partito madre Copei per raccogliere in una lista civica coloro   che vogliono cambiare, Teodorosiaccodaediventailministro che spende i soldi del petrolio. Chavez non gli piace. Sceglie l’opposizione, ma anche l’opposizione gli è indigesta: “mescola fascisti e latifondisti”. La disillusione lo ha raggiunto. Chi è ancora convinto di farcela è Ollanda Humala: vuol diventare presidente del Perù. Battuto da Alan Garcia ci riprova. Il suo profilononcoincideconleguerriglie avventurose-romantiche dell’altro secolo. Militare di professione, laureato alla Sorbona, guida la caccia a Sendero Luminoso e non sopporta gli intrighi di Fujimori, presidente ad personam. Rivolta armata e squadre della morte che terrorizzano le caserme. Nessuna ideologia ma l’arcadiadiunnazionalismoindigeno, nutrito dalla disperazione chelacorruzionecontinuaadingrassare.  
di Maurizio Chierici
IL FATTO QUOTIDIANO 7 OTTOBRE 2010