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GHEDDAFI ALLE PORTE DI BENGASI I RIBELLI: PRONTI A CONTRATTACCARE
Le truppe del regime avanzano in Cirenaica, gli insorti: stiamo ricevendo nuove armi GIORDANO STABILE INVIATO A TOBRUK
Le macchine degli insorti si muovono dopo il tramonto. Furgoncini, pickup con le mitragliatrici montate dietro, fuoristrada Toyota carichi di volontari armati di kalashnikov. Riprendono il controllo dei check-point abbandonati di giorno, sotto il diluvio di bombe dal cielo, di katiusce, di colpi di cannone dei tank T-72 in dotazione alle forze gheddaffiane. Di notte il diluvio si ferma. E la partita si riapre. Il numero, la conoscenza del territorio, i legami familiari e tribali hanno la meglio, almeno per qualche ora, sulla superiore potenza di fuoco degli uomini fedeli al Colonnello.
Il fronte della guerra civile libica è diventato un’immensa fisarmonica che va da Brega, 230 chilometri ad Ovest di Bengasi, ad Ajdabiya e oltre, vicino alla capitale della Libia libera. Lungo la strada costiera che unisce la Cirenaica alla Sirte i convogli degli insorti si incrociano con le pattuglie lealiste come le dita di due mani. Avanzano e retrocedono. Dichiarano vittoria. Piantano le bandiere verdi o i tricolori. Senza che nessuno riesca a schiacciare l’altro. Ieri, dopo la spettacolare avanzata di domenica, i gheddaffiani sono stati bloccati ad Ajdabiya, nonostante l’infernale bombardamento dal cielo e da terra. E hanno subito la controffensiva nel porto petrolifero di Brega, che sembrava saldo nelle loro mani.
Ajdabiya, l’ultimo ostacolo sulla strada per Bengasi, è la battaglia decisiva. Il comandante militare dei ribelli, il generale Abdel Fattah Yunis, ha ribadito l'intenzione di combattere per difendere la città «fino alla fine». Una Stalingrado. «Stiamo riorganizzando le nostre forze - spiega fiducioso Idris Al Sharif, professore in economia all’Università di Bengasi, uno dei leader e dei cervelli della rivoluzione del 17 febbraio -. Gli ufficiali dell’esercito regolare cominciano a inquadrare i gruppi dei volontari. Un coordinamento che mancava prima. L’addestramento è migliorato, arrivano le armi e le munizioni. Vedrete, tempo tre o quattro giorni e sul fronte la musica cambierà».
Il primo segnale è arrivato già ieri, quando un’unità delle forze speciali passata con i ribelli ha compiuto un blitz a Brega. «Abbiamo catturato 20 dei soldati di Gheddafi e ne abbiamo uccisi 25. Li abbiamo obbligati a ritirarsi di 20 chilometri dalla città», ha dichiarato trionfante il portavoce dell’esercito, il colonnello Hamed Al Hasi. E nelle retrovie la macchina organizzativa si sta mettendo in moto. Sulla strada che va dalla frontiera egiziana a Bengasi la notte è illuminata dai lampeggianti dei convogli speciali. Autocisterne, camion carichi di munizioni, razzi, che si muovono in colonna verso Ovest. «In un mese non avevo mai visto niente di simile - racconta con un sorriso soddisfatto Uissam, un volontario a un check-point poco fuori Bengasi -. Stanno arrivando i rinforzi, finalmente. Gheddafi kaputt».
In città si vedono gipponi neri senza targa. «Sono degli addestratori americani», rivela Belgasem El Badri, un ingegnere sessantenne che ha lavorato a lungo in Italia. «Sono scappato nel 1970 - racconta -. Avevo capito tutto dopo un anno, quando lui ha rimandato le elezioni che aveva promesso, il passaggio a un governo civile. Ho fatto bene a fuggire, dopo è stato l’inferno, ma ora voglio vivere nel mio Paese». Non è chiaro se la presenza degli addestratori sia reale. «Bel» ci conta molto: «Abbiamo bisogno di costruire un esercito vero, o quello là rimarrà per sempre al potere, a Tripoli».
Richiesta martellante per una «no fly zone» e armi più potenti, dichiarazioni d’amore per la Francia e Sarkozy: a Bengasi sono convinti che la controffensiva di Gheddafi è destinata a spegnersi e che «se il mondo ci aiuta» alla fine dovrà cadere. Dopo un altro giorno di bombardamenti, l’unità delle forze speciali teneva ancora il porto di Brega. «Controlliamo la città - ha insistito in serata il vicepresidente del Consiglio nazionale libico Abdel Hafid Ghoga -. La propaganda di Gheddafi dice che anche Tobruk è caduta, ma sono chiare assurdità. È guerra psicologica».
Ma la propaganda batte forte da tutte e due le parti. Ajdabiya continua a essere martellata dai gheddaffiani. Le linee difensive si assottigliano. La discesa in campo dell’esercito regolare è l’estrema risorsa degli insorti. Di fronte all’avanzata delle bandiere verdi, le divisioni tra i «ragazzi del 17 febbraio» e i più scafati militari sono state messe da parte.
LA STAMPA 15 MARZO 2011