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FINISCE NEL SANGUE IL VOTO IN NIGERIA
L’annuncio della vittoria del presidente Jonathan scatena la rabbia del Nord islamico: decine i morti Giovani con bastoni di legno e di metallo durante gli scontri con l’esercito nella città di Kano
Eccola la solita Africa. Le folle del Maghreb in piazza per la democrazia e non per Allah, i dittatori in fuga o periclitanti, i militari del Niger che virtuosamente cedono il potere ai civili, i vinti delle elezioni che si congratulano, in Ghana, con i vincitori ci avevano un poco illuso, confezionato ottimismi esagerati. Poi la Nigeria, il gigante: di tutto, del petrolio, della popolazione, della corruzione, della violenza, di tutti gli intingoli del potere più sfrenato; e tutto torna alla norma, all’ethos della faida, alla contraffazione, al pogrom tribale.
Vince le presidenziali Goodluck Jonathan già vicepresidente, personaggio pittoresco con il suo eterno «Stetson» in testa, ambiziosissimo e dilapidatore di promesse: di eguaglianza di democrazia, di correttezza amministrativa, di pacatezza interreligiosa. Tanto non costano niente. A metà giornata di ieri i risultati, anche se ormai quanto era noto aveva messo il saldo alla partita, non erano ancora definitivi; ci sono ventidue stati e 68 milioni di voti da contare (un record di partecipazione) il conteggio è lento. Il vincitore non era ancora ufficiale, dunque, e già mezzo Paese era in rivolta. Il nord da Kano a Kaduna a Jos in collera furibonda (si conterebbero decine di morti): basta prendere una matita e tracciare una linea che unisce queste città. È la frontiera che divide l’Islam dai culti cristiani. In rivolta perché Jonathan è un sudista, è un cristiano, quindi un arcinemico a cui non hanno alcuna intenzione di sberrettarsi.
Ai nordisti inveleniti, a dire il vero, più per motivi economici (secondo loro e non hanno torto il sudsucchia tutte le entrate lecite e illecite del petrolio) che per amore della vera fede, accomodava come presidente Muhammadu Buhari. Non li guasta il dato che sia un ex dittatore, uno de capi delle giunte militari che hanno depredato il paese per decenni. Il terzo candidato Nuhu Ribadu, non lo voleva nessuno: c’è da capirli, è stato capo della agenzia per la lotta contro la corruzione, qui e in gran parte dell’Africa è un biglietto da visita che invece di rianimare simpatie le cancella.
L’unica garanzia contro questo scenario di lacerazione era la certezza di elezioni regolari. Anche se alcuni osservatori scommettono sulla trasparenza del voto, almeno rispetto alle grottesche turpitudini del passato, rassicurati dalla comparsa per la prima volta di un casellario elettorale elettronico con le impronte digitali di 73 milioni di nigeriani che doveva agguerrire contro le tentazioni, i dubbi non mancano. Gli elettori fantasma che affollavano le urne del 2003 probabilmente si sono ridotti; ma che pensare, ad esempio, le percentuali di Jonathan nel Sud cristiano? Nello stato di Akwa Ibom ha ottenuto il 95 per cento, in quelli di Bayelsa il novantanove per cento. Davvero troppo. Senza dimenticare che gli uomini politici hanno fatto largamente ricorso durante la campagna elettorale (si votava anche per i governatori) a milizie armate e a bande di giovinastri per intimidire avversari e elettori e prendere il controllo dei seggi. I morti sono stati un centinaio.
La elezione di Jonathan infrange una regola non scritta ma considerata costituzionalmente essenziale in un Paese che conta 155 milioni di abitanti e 250 tribù, la alternanza al potere supremo tra un presidente del Nord e uno del Sud. Ora la Nigeria brutalmente si specchia nel suo incubo, una separazione che è già maturata nella violenza quotidiana. Il controllo del petrolio, non di una Poltrona a Palazzo, era il vero premio di queste elezioni: rende 14 miliardi di dollari ogni anno ma la popolazione per una quota del 92 per cento vive con meno di due dollari al giorno. E 22 milioni tra loro sono analfabeti. Non è abbastanza per ammutinarsi?
Lo scandalo di un presidente sudista viene a taglio per raggrumare tutte le croste di rabbia, rivolta, odio etnico e religioso. A Jos dei pogrom anti-cristiani in cui si mescevano antichissime lotte per la terra di natura tribale hanno causato centinaia di morti. Per irrobustire il vento del Nord islamico soffia la setta «Boko haram». Rivendica, forse pretestuosamente, di essere associata a Al Qaeda; ma bastano i massacri di cui si è macchiata per farla assomigliare ai talebani. I metodi e il progetto, unasocietà totalmente islamizzata , sono un manifesto pratico per la secessione.
Ma il Sud maggioritariamente cristiano non è meno diviso e insanguinato. Nel Delta del Niger un gigantesco selvaggio e inquinatissimo far west petrolifero, un movimento indipendentista lotta a colpi di attentati e sequestri di tecnici contro i grandi del petrolio Shell Eni, Total, Chevron e Exxon Mobil che accusa di rubare le ricchezze del loro Paese.

DOMENICO QUIRICO
LA STAMPA 19 APRILE 2011