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POCHE IMMAGINI, VERI MASSACRI SANGUE SENZA SCAMPO IN SIRIA
Videofonini e Internet per raccontare la repressione
Nessuno si sente più sicuro in Siria. Nemmeno coloro che non hanno partecipato alle manifestazioni. Che non ne vogliono sapere di chiedere la caduta del presidente sanguinario Assad. “I miei genitori non li chiamo – dice al Fatto uno degli ideatori di Siria uprising, pagina di Facebook su cui è possibile vedere i video della repressione filmati con i cellulari – perché non voglio metterli in pericolo”. Nonostante i suoi familiari vivano in una cittadina dove la gente non è mai scesa in strada per chiedere la fine del regime   di Bashar Al Assad, il ragazzo, che vive in Italia e chiede l’anonimato per ragioni di sicurezza, preferisce non contattarli.
“PER ORA LORO non dovrebbero correre pericoli perché non ci sono proteste nella loro regione ma l’ultima volta che li ho sentiti, tre settimane fa, mi avevano raccontato di sentirsi comunque terrorizzati perché in altre città la polizia aveva già arrestato preventivamente molte persone”. Più che di arresti, si tratta di veri e propri rastrellamenti. Mentre i cecchini prendono di mira i civili, con l’intento di bloccare la gente in casa, i   soldati fanno irruzioni ovunque, trascinando nelle prigioni quanta più gente possibile. Sarebbero oltre 250 le persone arrestate in pochi giorni a Banias, sulla costa siriana, ottomila dall’inizio delle rivolte. E arresto nella Siria di oggi significa quasi sicuramente tortura. È la strategia del terrore quella che Bashar sta applicando per annichilire il popolo che vuole liberarsi dalla sua dittatura. Lo ha denunciato il dissidente Ammar Abdulhamid, sottolineando come le armi preferite dal regime siano i carri armati e il settarismo. “La città di Banias è sotto assedio da venerdì scorso e i servizi base, compresa l’acqua, l’elettricità e le linee di comunicazione, sono state tagliate”, ha spiegato l’esponente della dissidenza. Rimane alta la tensione anche a Homs, la città della Siria centrale teatro nel fine settimana di violenti scontri tra oppositori e forze di sicurezza e presidiata da militari e tanks di Damasco. Testimoni oculari riferiscono sul social network Twitter   che il capoluogo ieri era “paralizzato” e che “le scuole e le banche sono rimaste chiuse”. Uno dei testimoni, il blogger Samsomhoms, ha dichiarato inoltre che sei carri armati presidiano l'ingresso alla città e di avere udito ieri mattina cinque forti esplosioni in un sobborgo di Homs, Baba Amro. Dieci siriani che lavoravano in Libano sono stati uccisi ieri sera da una banda armata vicino a Homs, di ritorno da una visita ai loro familiari. I componenti della banda non sono stati arrestati mentre un bambino di 10 anni sarebbe finito in carcere per far pressione sui genitori. Un   altro di 12 invece sarebbe rimasto ucciso durante gli scontri di Homs. Dopo quasi due mesi di proteste e violenze efferate da parte degli squadroni, le informazioni e soprattutto le immagini continuano ad arrivare soprattutto via internet e twitter.
AI FOTOGRAFI e ai giornalisti stranieri non sono stati concessi i visti per l’ingresso nel Paese (dell’inviata di Al Jazeera scomparsa nel nulla da dieci giorni, si sa solo che è in stato di fermo). Le uniche immagini ci arrivano grazie al coraggio dei giovani che filmano con i loro cellulari i momenti più crudi degli   scontri, rischiando di venire coinvolti. “I giovani siriani erano preparati perché hanno copiato il metodo usato dai ragazzi egiziani – spiega il fondatore di Siria uprising – All’inizio furono aperte due pagine Facebook: Syrian revolution against Bashar Assad e Sham News Network. Chiunque girasse dei video potevano mandarli a quelle pagine oppure metterli su Youtube. A noi mandano i link in modo da poterli rintracciare e trasferire sulle nostre pagine. Importanti sono anche i tags,cioè i riferimenti ai contenuti dei video”. Così anche l’Italia partecipa a questo modo nuovo di fare informazione.
di Roberta Zunini  
IL FATTO QUOTIDIANO 10 MAGGIO 2011