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I RIBELLI INTIMANO A GHEDDAFI DI ANDARSENE SUBITO
Secca replica del Colonnello: «Ma quale ultimatum? Io non lascerò mai la Libia»
DAL NOSTRO INVIATO TRIPOLI— In Libia si spara e si tratta, ma nessuno al momento sembra avere la forza per imporre niente. Non si capisce ancora bene chi sia il gatto e chi il topo in questo gioco di tatticismi, se il regime o i ribelli, alzano tutti la voce ma intanto cominciano anche a farsi reciproche concessioni. Mustafa Abdel Jalil, l’ex ministro della Giustizia di Tripoli, diventato il capo del Consiglio nazionale provvisorio di Bengasi, ieri ha lanciato un ultimatum al suo vecchio leader: «Se Gheddafi lascerà il Paese entro 72 ore e porrà fine ai bombardamenti — ha dichiarato Jalil ai microfoni di Al Jazeera — noi non lo perseguiremo per i crimini che ha commesso. E’ necessario, però, arrivare ad una soluzione che eviti ulteriori spargimenti di sangue» . Secca la risposta del Colonnello: «Ma quale ultimatum? Io non me ne andrò mai dalla Libia — ha detto in un’intervista a Tf1 e alla tv turca—. Io non tratto perché con Al Qaeda non si tratta» . Eppure, rispetto ha una settimana fa, quando sembrava sordo a qualsiasi dialogo, Gheddafi ha cambiato atteggiamento. Ha cominciato a parlare di «amnistia» per i ribelli che si arrenderanno riconsegnando le armi. E poi ha provveduto a calmierare i prezzi delle merci, a cancellare alcune tasse per la popolazione. Sono sembrati segnali chiari alle «cabile» , alle tribù. E adesso pare intenzionato sul serio a trattare. Il suo uomo-chiave è Jedallah Azous al-Tahli, l’ex primo ministro, cugino di Mustafa Jalil e appartenente alla comune famiglia di Al Baydha, in Cirenaica, da dove discende anche la seconda moglie del Raìs, Safiam. Non è un dettaglio da poco: il ruolo delle «cabile» in Libia è considerato da sempre determinante: come dice Ahmed el Ghatrani, ex comandante dell’esercito passato ora con i ribelli, «avere le tribù dalla propria parte significa controllare il popolo» . Per questo il Raìs ci va piano, diciamo così, anche con i bombardamenti: «Più morti fai e più vendetta avrai» , recita un proverbio di qui. E Gheddafi perciò deve stare attento. Dicono che sia pronto anche a pagare il «prezzo del sangue» , a concedere cioè risarcimenti per i morti avuti in combattimento dalle famiglie delle varie città colpite dai suoi aerei e dai suoi tank. Il suo uomo, al-Tahli, ieri alla tv di Stato ha rivolto un chiaro appello ai ribelli a «dare una possibilità al dialogo nazionale per risolvere questa crisi» . Sarebbe lui, insieme a un altro negoziatore, l’emissario mandato a Bengasi dal Raìs ad avviare i colloqui con gli insorti. Il governo ufficialmente nega che siano in corso dei colloqui, definisce le voci di un negoziato offerto ai ribelli «spazzatura» e «fandonie senza senso» . Sarebbe stato, piuttosto, un gruppo militante di avvocati tripolini, secondo la vulgata ufficiale, a prendere l’iniziativa nei giorni scorsi di contattare i ribelli. I loro nomi? Mistero. Anche la tv libica, in questo ping-pong ormai ossessivo con Al Jazeera, smentisce vi sia stato qualunque approccio tra le parti. Insomma, un braccio di ferro. Una guerra di nervi, non solo fatta di carri armati e disinformazione. E anche una guerra di spie. Di sicuro, si gioca a carte copertissime e nessuno dei due giocatori ha il poker servito in mano. Quello che è certo è che su entrambi i fronti spiccano le divisioni e le diverse anime vengono fuori: «Nessun colloquio sarà possibile— ha detto ieri Mustafa Gheriani, portavoce del Consiglio nazionale di Liberazione, più oltranzista di Jalil— se prima non sarà realizzata l’unica condizione possibile e cioè che Gheddafi accetti subito di farsi da parte. Lui sa dove si trova l’aeroporto di Tripoli e tutto quello che deve fare è andarsene e mettere fine al bagno di sangue» . Gheddafi ieri ha telefonato al primo ministro greco Papandreou: «Un eventuale attacco alla Libia— gli ha detto— avrebbe ripercussioni sulla sicurezza in Nordafrica, nel bacino del Mediterraneo e in Europa. E visto che la Grecia è un Paese amico della Libia può trasmettere questo consiglio ai membri dell’Unione europea...» . Da registrare, infine, il pensiero del professor Missouri, sorta di alter ego del Colonnello, ufficialmente docente universitario e traduttore dal francese per conto del Raìs, in realtà consigliere politico e diplomatico molto ascoltato e vicino a Gheddafi. Ieri, parlando informalmente con un gruppo di giornalisti stranieri, diceva che «il negoziato è meglio della guerra, perché tutt’e due le parti devono fare concessioni, ma adesso ci vorrebbe un miracolo…» . E ha aggiunto: «Il Raìs si sente ancora amico di Berlusconi e Sarkozy, anche se capisce che per la ragion di Stato si son dovuti schierare entrambi contro di lui. Si sente invece tradito da un suo cugino, fuggito in Egitto…» . Fabrizio Caccia © RIPRODUZIONE RISERVATA
CORRIERE DELLA SERA 9 MARZO 2011