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LA GUERRA TRA PRESIDENTI È FINITA: GBAGBO CATTURATO
POTERE A OUATTARA, SI CONCLUDE IL SANGUINARIO BRACCIO DI FERRO IN COSTA D’AVORIO TRA L’EX LEADER E IL NEO ELETTO
Con la cattura di Laurent Gbagbo, non è detto che la guerra civile a bassa intensità tra il nord e il sud della Costa D’Avorio sia finita. L’ingresso delle truppe Onu e della missione francese d’appoggio Licorne, nel bunker di Gbabgo, per arrestarlo – anche se la versione ufficiale sarà quella della cattura da parte delle truppe del legittimo presidente Ouattara – dopo una settimana di bombardamenti in tutta Abijan, ha in realtà posticipato ancora una volta la risoluzione del vero problema del paese africano.
LA COMUNITÀ internazionale certo non poteva permettere che dopo aver perso le elezioni a novembre e dopo 5 mesi di carneficina, Gbagbo rimanesse ancora al potere. A imprimere l’accelerata finale al braccio   di ferro tra il capo di Stato uscente e il vincitore Alessane Ouattara, tuttavia non è stato il filantropismo dell’Onu bensì il meccanismo innescatosi con la guerra in Libia. Se nessuno fosse intervenuto, i detrattori dell’intervento in Libia avrebbero   avuto gioco facile nell’accusare la comunità internazionale di doppiopesismo. Gheddafi sì, Gbagbo no. A maggior ragione sarebbe stato additato come “ingiusto” il presidente francese Nicolas Sarkozy, che dopo aver strenuamente voluto dare il via all’intervento in Libia, non avrebbe potuto tirarsi indietro proprio di fronte ai problemi dell’ex colonia africana. Ma le turbolenze dell’ex “giardino di caccia” francese potrebbero durare se Ouattara non sarà in grado di ricomporre il paese diviso in due da quasi 10 anni, cioè dall’inizio della guerra civile nel 2002, scoppiata già allora tra i ribelli di Ouattara e i soldati di Gbagbo e conclusasi con un negoziato che ha di fatto lasciato il paese diviso tra un Nord sotto Ouattara e un sud fedele a Gbagbo. A permettere la sanguinosa impasse – le vittime stimate dalle organizzazioni umanitarie sono oltre mille, con circa un milione di profughi, su 21 milioni di abitanti,   che hanno abbandonato il paese per riversarsi in quelli confinanti – durata ben 5 mesi è stato proprio il clima di instabilità che ha permeato l’attività politica ivoriana degli ultimi dieci   anni. Il segretario di Stato americano Hillary Clinton nel commentare la cattura di Gbagbo ha detto che “questa transizione manda un segnale forte ai dittatori e ai tiranni della regione e in tutto il mondo: che non devono ignorare la voce della loro gente espressa in libere elezioni e che ci saranno conseguenze per chi si ostina a rimanere attaccato al potere”.
MA ANCHE ALESSANE
Ouattara è un uomo che ama il potere e ama tenerselo stretto. Il settantenne ex vice presidente del Fondo Monetario Internazionale, originario di una ricca famiglia musulmana del Burkina Faso è già stato primo ministro in passato e ha permesso alle sue milizie di a coinvolgere nei combattimenti i civili, nel passato così come durante questi mesi di lotta per la presidenza. Sicuramente l’ex presidente Gbabgo, dopo gli esordi democratici, è diventato il solito spietato dittatore africano, ma non si può però nemmeno sostenere   che Ouattara sia uno stinco di santo. Il fatto di aver rivestito importanti ruoli nell’ambito delle “multinazionali” del credito internazionali come la Banca   centrale africana e l’Fmi, lo rende più interessante per lo sfruttamento delle risorse africane da parte della comunità internazionale. L’orrido Gbagbo, con il suo nazionalismo d’antan, era passato di moda e soprattutto non garantiva più gli interessi stranieri. Ma tutto passa quando non c’è il petrolio. E la Costa d’Avorio non ce l’ha.  
Chi vince e chi perde l’usurpatore Gbagbo e il legittimo vincitore Ouattara
di Roberta Zunini
IL FATTO QUOTIDIANO 12 APRILE 2011