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IO, REPORTER FASCISTA
Malinconia dei giornalisti che raccontano ciò che succede nei posti meno felici del mondo: Robert Ménard, fondatore di Reporter Sans Frontières, baluardo della libertà di informazione, non ha più voglia di recitare nobili ideali.
La maschera del sognatore anarchico, del comunista ortodosso, del liberal immacolato, è solo un travestimento del passato. Lo conferma l’ultimo libro: “Evviva Le Pen “, Le Pen nel senso di Martine, figlia del padre del fascismo francese, candidata alla presidenza che costringe Sarkozy ad inseguirla nel razzismo feroce dei vecchi pieds noirs. L’“Evviva” è un libello che risponde al successo dell’“Indignatevi” di Emanuel Duverger, intellettuale di 90 anni il quale non si arrende a chi calpesta i diritti nel nome degli affari. Reporter San Frontières accompagna la lealtà di una generazione di testimoni soffocati in patrie senza respiro; accompagna i cronisti che raccontano i massacri delle guerre imposte nel nome della democrazia attorno a miniere e pozzi di petrolio. Difende chi scava realtà scomode, oppure svanisce nelle fosse comuni o in prigioni sconosciute. Insomma, RSF incarna la speranza di una società normale: tutti devono sapere di tutti. Ménard era un piccolo giornalista con la vocazione dell’impresario attento ai brontolii della società. Nel 1985 inventa Reporter Sans Frontières coinvolto dall’entusiasmo dal Rony Brauman di Medecins San Frontières. Se i medici sono indispensabili a rammendare il dolore delle bombe intelligenti, i satelliti aiutano per la prima volta i giornalisti a smascherare segreti militari e padrini del terrore. Nella Beirut assediata da Sharon il racconto delle bombe sperimentali, del tiro a bersaglio dalle colline che abbracciano la capitale da sbiciolare, e le cronache del massacro di Sabra e Chatila, mettono in pericolo testimoni rompiscatole indignati dalle atrocità. Sintomo effimero del bisogno di proteggere il lavoro è la T-shirt inventata da un cameraman libanese: “Sono sopravvissuto all’Operazione Pace in Galilea. Beirut 1982. Inside”, dentro. Quei 50 cronisti che scrivono fra le macerie della Beirut bersaglio mentre nella Beirut dove i cannoni sparano, 500 cronisti guardano da lontano fumo e crateri. L’idea di proteggere con una “divisa” la lealtà dell’informazione, in un lampo attraversa il mare. Nel Salvador delle atrocità nutrite dalla Washington di Reagan, operatori e reporter vanno in giro con una maglietta che avverte “Non sparare, sono un giornalista”. Ma squadre della morte non sanno leggere: tanti testimoni non ce la fanno. RSF si impegna a garantire chi non può parlare. Eppure l’entusiasmo sgualcisce nella diffidenza di Rony Brauman, proprio lui, primo ispiratore. Arriva a Roma per offrire a Giovanni Paolo II il premio Nobel assegnato a Medecins, e nelle chiacchiere della sera confessa di aver preso le distanze. Ménard troppo obbediente alla politica della Washington repubblicana. Giusto denunciare l’informazione negata a Cuba, Teheran, Cina, le controversie nel Venezuela dove Chavez tempesta e i media restano nelle solite mani, ma perché quei silenzi su Baghdad, Arabia Saudita, Egitto, e ogni regno del petrolio? E i finanziamenti di strane associazioni: Center for Free Cuba, anticastristi di Miami e altre ombre Cia. Nel 2008 Ménard se ne va con la legione d’onore di Sarkozy. Apre nel Qatar un centro che protegge i giornalisti perseguitati, budget 3 milioni di dollari l’anno, benevolenza di un sovrano assoluto che nessun può sfiorare con notizie sgradite. Schizofrenia. E Ménard comincia a rivelarsi: pena di morte, omofobia, finalmente “Evviva Le Pen”. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
di Maurizio Chierici
IL FATTO QUOTIDIANO 12 APRILE 2011